martedì 17 maggio 2011

Io e Teodolinda

Sono Linda e osservo gli ambienti che compongono la mia vita, dall'infanzia alla maturità ma cerco un luogo preciso in cui ho trascorso mesi davvero affascinanti. 
Sto parlando dell'Alto Medioevo, periodo in cui tra disordini e invasioni, il mondo si è davvero modificato ed io sto studiando e scavando nella chiesa che sarebbe diventata oggetto della mia tesi di laurea. 
Dal pianerottolo in cui mi trovo alla stanza che ho intenzione di perlustrare mi divide una porta. 
Cerco la chiave, ne ho molte, la provo ed apro. 
Qui c'è una forte luce al neon che mi ha aiutato a vedere per entrare ma mi accorgo che mi sta accogliendo un nuovo mondo, fatto di buio e di un odore forte d'umido. 
Non ho difficoltà ad orientarmi: sono entrata in uno scavo archeologico che conosco bene. 
So come avvicinarmi alla strada romana da me tempo fa individuata, ma non posso riconoscere chi mi precede spedito finché non s'illumina il cielo che prima non c'era. 
Sono piombata indietro di secoli, nulla mi è più noto; non ci sono scheletri né cocci, né colleghi, né orari. 
Sto nel sottosuolo della basilica di Sant'Agata dei Goti a Roma per completare le ricerche che mi porteranno ad ultimare la mia tesi di laurea in Archeologia Cristiana. 
Sto studiando il culto della martire catanese Sant'Agata a Roma entro l'anno Mille; questo è l'argomento di cui ho intenzione di dibattere tra pochi mesi all'Università. 
Mi sono rimaste da prendere poche misure da inserire in una rappresentazione grafica da unire alla mia argomentazione scritta insieme alle fotografie ed alle fotocopie fin qui raccolte. 
In questo luogo non si scava più, quello che c'era da sapere si è scoperto e va semmai interpretato meglio. 
Rifletto ora su quello che era scritto nel mosaico del catino absidale della chiesa, crollato nel 1589. 
fla(vius) ricimer v(ir) i(nlustris) mag(ister) utriusq(ue) militiae 
PATRICIUS ET EX CONS(ULIBUS) ORD(lNARIIS) PRO VOTO SUO ADORNAVIT (Flavio Ricimero, uomo illustre, capo di tutte le forze militari, patrizio e tra i consoli in carica, ornò per esaudire il proprio voto). 
Vi si poteva dunque leggere il nome di colui il quale fece decorare la sola abside o tutto l'interno di Sant'Agata dei Goti, Flavio Ricimero, il cui cursus honorum (carriera politica) permette anche di circoscrivere nel tempo almeno l'epoca della decorazione. 
Dopo il nome, appunto flavius ricimerus, il titolo onorifico vir inlustris, la promozione a magister (militum) utriusque militiae nel 456, il titolo di patricius ottenuto nel 457, si fa menzione della carica consolare, ex consulibus ordinariis, conseguita nel 459. 
All'espressione VOTO SUO, rifletto è difficile dare un senso inequivocabile: può ricordare una vittoria militare, un momento politico favorevole, il matrimonio con Alipia, figlia di Antemio, non è possibile, insomma, utilizzare tale dato per una più precisa collocazione temporale. 
Non è in fondo questo il problema, potendo almeno collocare tra 459 e 470 la decorazione absidale, ma esiste l'incertezza sulla coincidenza o meno della decorazione con l'edificazione della chiesa romana, se cioè si debba a Ricimero anche quest'ultima. 
Per mia fortuna, la chiesa, che esiste tuttora a Roma in Via Mazzarino, vicina a Via Nazionale, malgrado i notevoli rimaneggiamenti ed i restauri susseguitisi nel volgere dei secoli, conserva molte parti architettoniche originali, anzi è nella sua ossatura essenziale delle pareti esterne e delle arcate interne, ancora la chiesa eretta nel quinto secolo. 
Ora mi trovo ad un livello di oltre due metri sotto le navate della chiesa, dove si trovano muri paralleli in opera listata formati da mattoni e strati di malta composta di calce bianca e pozzolana, molto compatta, di grana sottile non stigliata, e sono i muri di fondazione della navata centrale della chiesa su cui posano anche i due attuali colonnati. 
Nel punto che ho indicato con a in pianta, ad una distanza di quasi tre metri dal muro di fondazione della navata segnata con bc, è visibile il cervello di un arco, probabilmente di fondazione. 
La parete da me indicata bd del muro a Sud presenta, a circa settanta/ottanta centimetri dal suolo attuale, trentadue incassi (forse per ponteggi) a circa trentasette/quaranta centimetri di intervallo lungo l'intera parete. 
Un altro muro, be parallelo ai primi, distante da bd circa tre metri e mezzo con caratteristiche costruttive analoghe ad essi ed evidentemente muro di fondazione della navatella destra, presenta tre finestre ed una porta murate. 
Queste finestre furono aperte, in epoca moderna, a distanza irregolare probabilmente per dar luce agli ambienti adattati a cantina ed attualmente sono ricoperte di intonaco rustico. La porta è stata chiusa con muratura eseguita con materiale di risulta vario (mattoni spezzati, frammenti di anforacee, pietre) tenuto insieme da malta grossolana.Il fatto di aver esaminato dettagliatamente ciò che resta dell'edificio originale, mi ha permesso di datare la chiesa approssimativamente sulla base dei confronti con le strutture murarie di altri edifici cui la datazione è sicura. Tutto sembra confermare la coincidenza della data della dedicazione del mosaico di Ricimero con quella dell'edificazione della basilica, metà del quinto secolo, infatti le chiese romane che offrono maggiori punti di contatto con Sant'Agata dei Goti risalgono a quell'epoca.
In conclusione, l'esame delle murature ed i metodi costruttivi utilizzati, non sembra contrastare con l'ipotesi secondo la quale l'erezione della basilica sia avvenuta tra il 459 ed il 470, ambito in cui è databile l'epigrafe di Ricimero posta nel mosaico absidale.
Ciò che mi sembra altamente improbabile è che la chiesa di Ricimero fosse già in origine dedicata a Sant'Agata e così mi suggerisce a suo modo la giovane ariana che vedo accanto a me. 
La connessione, infatti, dell'edificio con la martire catanese, non si rileva né dal testo dell'epigrafe, né dall'iconografia del mosaico che raffigurava il gruppo dei dodici Apostoli con, presumibilmente, al centro il Cristo. 
Una tavola ricostruttiva del Ciampini rende chiaramente l'idea dell'insieme, tutti i personaggi avevano sotto di sé la dicitura del proprio nome ed erano, nell'ordine, s. jacobus alphei, s. simon zelotes, S. JACOBUS, S. IUDAS JACOBI, S. PHILIPPUS, S. PAOLUS, S. PETRUS, S. ANDREAS, S. IOHANNES, S. THOMAS, S. MATHAEAUS, S. BARTHOLOMEAUS. 
Al centro il Cristo, salus totius generis humani (salvezza di tutta umanità), nimbato, sedeva sul globo reggendo con la mano sinistra il libro aperto e benedicendo con la destra.
Apparentemente, il mosaico non aveva in sé neppure elementi iconografici che testimoniassero inequivocabilmente il culto ariano che, prima della riconsacrazione cattolica di S. Gregorio Magno, sicuramente in questa chiesa si era svolto. 
Ma io, Teodolinda, allora c'ero, ariana e figlia di Ariani col nome così scelto perché importante, presente in chiesa all'epoca della cacciata di noi ariani, certo diversi dai Romani intorno a noi. 
La notizia della riconsacrazione sì legge nei dialoghi dello stesso papa, scritti presumibilmente nel 594, e vi viene riferita come accaduta ante biennium, dunque nel 592. 
Così riporto io, Linda, nella mia tesi di laurea.
Nel terzo libro dei Dialoghi, appunto, papa Gregorio I narra particolareggiatamente la lustrazione della arrianorum ecclesia in regione urbis HUIUS quae SUBURA DICITUR (la chiesa degli Ariani nella regione di questa città chiamata Suburra), che, dopo essere rimasta chiusa fino ad un biennio prima, placuit ut in fide catholica dedicari debuisset (si volle che fosse dedicata alla fede cattolica) con l'introduzione delle reliquie beati sebastiani et sanctae agathae martyrum (dei martiri beato Sebastiano e sant'Agata) 
Ebbene io, l'ariana Teodolinda, posso confermare che, dopo l'ingresso solenne nella chiesa dei preti cattolici, durante lo svolgimento dei riti di riconsacrazione, quidam ex his qui extra SACRARIUM STABAT PORCUM SUBITO INTRA SUOS PEDES HUC ILLUCQUE discurrere SENSERUNT. (alcuni di quelli che stavano fuori dal sacrario improvvisamente sentirono un maiale correre qua e là tra i propri piedi). 
L'animale immondo, la cui presenza è stata avvertita da tutti i presenti, si è diretto poi alla porta della chiesa permettendo la conclusione della celebrazione. 
Papa Gregorio I così commenta nel suo testo l'accaduto: idcirco DIVINA PIETAS OBSTENDIT, UT CUNCTIS PATESCERET QUIA DE LOCO EODEM immundus habitator EXIRET. (relativamente a ciò la divina pietà mostra, perché sia chiaro a tutti, che dallo stesso luogo uscisse l'immondo abitatore). 
A questo episodio "demoniaco" ha fatto seguito un altro la notte stessa. 
Io ero lì ancora coi miei, magari un po' celata ma presente e preoccupata anche perché il mio nome, Teodolinda, non lascia dubbi sulla mia nazionalità. 
Si è sentito infatti sui tetti un gravior sonitus come se omnis illa ecclesia a fundamentis FUISSET eversa (un pesante suono come se tutta quella chiesa fosse abbattuta dalle fondamenta) che gradatamente si è affievolito fino a scomparire del tutto. 
Insomma, il "demone dell'eresia", costretto dalla purificazione del luogo ad allontanarsi, ha permesso l'inizio di nuovi prodigi, stavolta decisamente fausti: una nube profumata scesa sull'altare, le lampade della chiesa, regolarmente spente, che si sono accese e riaccese malgrado il custode sia tornato a spegnerle, segno, quest'ultimo, ha scritto il papa, che locus ille a tenebris ad lucem venisset (quel luogo tornò dalle tenebre alla luce). 
Io, Teodolinda, ricordo tutto questo ma non so davvero giustificarlo. 
La riconsacrazione al culto cattolico della chiesa, testimoniata anche da una lettera dello stesso Gregorio I detto Magno e dal Libar Pontificalis (libro in cui sono indicate tutte le opere compiute dai primi papi) non fu un fenomeno isolato, anzi fece parte di un piano di "energica opera di cancellazione delle tracce eretiche sul suolo di Roma". 
Questo sa bene la contemporanea Linda. Quando a Roma papa Gregorio Magno ha intrapreso la stessa opera di riconciliazione e conseguente ridedicazione effettuata già a Ravenna dal vescovo cattolico Agnello dopo la cacciata del re ariano Teodorico, ha applicato esattamente lo stesso principio: porre la chiesa sotto la protezione del Santo "giusto", che avesse, cioè, chiari riferimenti alla battaglia vinta contro l'arianesimo. 
Infatti San Severino, l'Apostolo del Nerico, fu prescelto a tutela della ecclesia iuxta domum merulana (la chiesa presso la casa merulana) che la superstitio (eresia) ariana da lungo tempo amministrava. San Sebastiano, soldato e "considerato tra i sette difensori della Chiesa nella catalogaziene di Gregorio Magno" accanto a Sant'Agata, difende la rinnovata ortodossia della chiesa di Ricimero.
A questo punto è necessario che io, Linda, l'attuale laureanda, mi porga alcune domande: è possibile che, con simili premesse, la scelta di Sant'Agata sia stata dettata da motivazioni tanto dissimili da quelle che avevano fatto scegliere, a Ravenna e a Roma, dei Santi così particolari? Che, cioè, Sant'Agata proteggesse vecclesia gothorum senza un titolo preciso, ma solo per la popolarità del suo culto che s'era propagato a causa delle vaste proprietà della Chiesa in Sicilia? Oppure che Sant'Agata fosse già in origine il nome della chiesa suburana, sottintendendo, quindi, una venerazione inspiegabile dei Goti ariani per essa?
Papa Gregorio I, così attento al problema scottante dell’arianesimo, non avrebbe provveduto anche qui, a maggior ragione, a cambiare l'intitolazione? 
Gli studiosi che si sono trovati a commentare le ragioni di tale dedicazione, hanno sempre espresso molte riserve a riguardo; mentre gli scrittori di opere divulgative su questa santa hanno sempre portato l'esempio di Sant'Agata dei Goti come testimonianza della grande venerazione dei Goti per la martire catanese, senza darne alcuna spiegazione. 
Il parere di chi sta svolgendo la propria tesi di laurea (nel 1998) dal titolo Il culto di Sant'Agata a Roma entro l'anno mille, cioè io, Linda, è che invece Sant'Agata fu il nome scelto da Gregorio Magno ad hoc per la chiesa dei Goti ormai purificata, senza costituire, quindi, un'eccezione nel gruppo omogeneo dei Santi, nemici dei Goti ariani, qui citati. 
La ragione di questa scelta precisa può essere ricercata in uno dei più antichi miracoli che, scrive il Bollando, i Catanesi meritis sanctae agathae ADSCRIBUNT (\ Catenesi attribuiscono alle doti di Sant'Agata). 
Una silloge di miracoli attribuiti a tale santa, presentata dagli Acta Sanctorum a coronamento della trattazione sulla questa Sant'Agata, inizia infatti l'ottavo capitolo, dal titolo catana per sanctam agatham contram HOSTES DEFENSA (Catania difesa dai nemici grazie a Sant'Agata), con la narrazione della liberazione dei Goti della città di Catania nell'anno 535). 
prima certe sicularum urbium jugo est gothico liberata anno christi 535; ita procopius, lib. belli GOTHICI (sicuramente per prima tra le città siciliane fu liberata dalla dominazione gotica nell'anno di Cristo 535; così scrive Procopio nel testo La Guerra Gotica). 
Il dato storico si riferisce agli inizi della cosiddetta guerra greco/gotica, cioè la guerra sostenuta dalle truppe dell'Impero Romano d'Oriente, comandate in questa prima fase da Belisario, durante il regno di Giustiniano per sottrarre l'Italia dal dominio dei Goti. 
Il primo obiettivo di Belisario fu l'occupazione della Sicilia per procedere poi all'avanzata nell'Italia peninsulare dopo aver attraversato lo stretto di Messina. La resa immediata di Catania, prima città attaccata dalla armata romana, è l'evento cui si riferisce il Bollando quando afferma: hanc porro suae urbis ante reliquas LIBERATIONEM MERITIS SANCTAE AGATHAE CATANENSES ADSCRIBUNT (i Catanesi attribuiscono alle doti di sant'Agata la liberazione della sua città prima delle altre). 
Purtroppo la fonte da cui è tratta la notizia dell'attribuzione ai meriti della Santa di questa liberazione di Catania dai Goti non è indicata con precisione. Ma certo, anche se si trattasse di semplice vox populi, è riportata con tanta sicurezza da poter essere presa in seria considerazione. Se così fosse, al potere taumaturgico di Sant'Agata verrebbe attribuita non solo la liberazione della Patria dai nemici, ma da nemici ben definiti: i Goti, del cui tradizionale arianesimo ci informa lo stesso Procopio. 
Questo certo sarebbe un buon titolo, abbinato alla diffusione generale del suo culto, perché proprio Sant'Agata venisse scelta da Gregorio Magno a difesa della vittoria sull'arianesimo che fu la restituzione al culto cattolico della basilica suburana, anche perché, accettata la sua qualifica di Santa "che si batte contro gli eretici", il nome di Agata accanto a quelli di Martino, Severino, Eusebio, Teodoro e tutti gli altri santi soldati non sarebbe affatto una inesplicabile "intrusione", anzi confermerebbe la scelta oculata dei nuovi patroni per le ri-dedicazioni di chiese già ariane che ci si aspetta senz'altro da un Padre della Chiesa della statura di S. Gregorio Magno. 
Su nome originario di Sant'Agata dei Goti sono propensa ad accettare l'ipotesi del Marucchi, secondo il quale la chiesa sarebbe stata dedicata al Salvatore, sia per l'iconografia del mosaico absidale che per analogia con l'attuale Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna che aveva ricevuto da Teodorico proprio questa intitolazione. 
L'analogia con la chiesa ariana di Ravenna si fa ancora più stringente se si accoglie l'ipotesi del professor Cecchelli che immagina proprio in Sant'Agata la residenza a Roma del Vescovo goto ariano, l'esistenza del quale si ricava da in documento del sesto secolo che testimonia il viaggio a Roma, sullo scorcio del secolo precedente, di un tale che reclamava giustizia al Papa dei Cattolici ed al Vescovo degli Ariani per una sua questione privata. 
In questo viaggio c'era mio padre, sussurra la giovane ariana Teodolinda, ma egli non trovò alcuna soluzione al suo problema. L'ha raccontato a casa per anni e per questo, per quanto femmina, lo so anche io. 
Lo studioso Cecchelli notava come la posizione geografica e quella topografica della chiesa di Sant'Agata dei Goti fossero favorevoli per la postazione più importante dell'arianesimo romano: la zona che occupa la chiesa era la stessa che ospitava il quartier generale delle milizie barbariche, la maggioranza delle quali professava certo la fede ariana. 
Se fosse poi esatta l'identificazione dell'oratorio del Monte della Giustizia con Sant'Agata in Esquilino, si avrebbe un'ulteriore conferma del senso ben preciso della intitolazione a questa Santa di chiese con un passato ariano. 
Anche l'oratorio sorgeva in una zona di abituale residenza delle milizie barbare ed "in cui si manifestò più vivo lo arianesimo", qui ho abitato pure io, Teodolinda, coi miei, e anche esso aveva nell'abside la raffigurazione di Cristo tra gli Apostoli. 
Se è vero dunque, che l'oratorio è Sant'Agata in Esquilino, il nome gli venne certo dato non dai suoi costruttori ariani ma da chi lo riconsacrò al culto cattolico, probabilmente del sesto secolo. 
Ecco perché io, Teodolinda, ariana dalla nascita, sto suggerendo come posso a te, Linda, cattolica nata centinaia d'anni dopo di me, quello che qui è davvero successo. 
Sarà perché portiamo un nome similare, sarà perché lo specchio dice che ci somigliamo, sarà perché simile è il nostro carattere.
Chissà.
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Racconto partecipante alla quinta edizione di © Philobiblon (2010)