Il borgo senza peste di Peter Hubscher
“Cosa fai lì? Siediti”.
Brusco come sempre, il padre priore mi indicò lo sgabello. Zoppicando a causa della gamba ferita durante la crociata, si diresse verso lo scranno che dominava la sala.
Sedutosi, batté impaziente il bastone sul pavimento per richiamare la mia attenzione e mi ingiunse: “racconta”. “Reverendo Padre” iniziai, “come sapete la peste già da due anni avanza portando morte.” “Sì, questo lo so” rispose “ma della tua indagine cosa mi dici?” “Come mi avete chiesto” iniziai,” ho trovato il borgo dove dicono la peste non alligni. Intorno i villaggi e le campagne sono stati percossi dal castigo divino, ma lì non vi è morte. Vi racconterò i dettagli. Ora sappiate che il prete del borgo mi ha confermato che malgrado la scarsa fede e la vita peccaminosa e il poco rispetto per la Santa Madre Chiesa, gli abitanti godono di buona salute.”
Il padre priore si fece attento. Continuai pesando le parole “Il prete mi ha raccontato di un uomo e della sua compagna che con suggerimenti hanno evitato il diffondersi della epidemia. Il prete del borgo che avevo incontrato l’anno prima al pellegrinaggio di santa Agata, ritiene sia un negromante e la donna la sua strega, ma i villici dicono essere persona gentile e sapiente nelle cure mediche. Già da anni e prima della pestilenza con erbe mediche e pomate e infusi curava le loro malattie. Richiesti se questo uomo avesse chiesto di commettere atti sacrileghi o rinnegare Cristo, i villici, hanno risposto che no, anzi che era in buoni rapporti col prete, curando che venisse data l’estrema unzione a coloro che non aveva guarito. Mi sono annotato i suoi consigli contro la peste.”
“Padre Germano” il priore puntò il bastone verso la porta che, leggermente socchiusa lasciava intravedere un paio di sandali. “Se avete da commentare, prego non state nell’ombra come un ladro, ma venite avanti e dite la vostra opinione”. Padre Germano alto, magro, barbuto e con gli occhi da folle, iniziò a inveire “Ma che storie sono? Nessuno può curare il morbo. Questa è la giusta punizione per i nostri peccati e per essi tutti dovremo morire. Chi si oppone o crede nei rimedi terreni è contro Dio e di per sé eretico.”
“Padre Germano, ascoltate” rispose il priore “potreste avere ragione, ma ora andate. Curare i malati è opera di misericordia e io vedo che muoiono i peccatori e anche i santi”. Padre Germano prima di uscire si girò verso di me e sibilò:” Anche tu, peccatore che ti diletti di scrivere e copiare testi di lussuria invece di dedicarti solo ai Vangeli, morirai e la tua carne sarà putrida come la tua anima. Saranno cibo per le bestie e Satana.”
Padre Germano chiuse la porta e sentimmo i passi allontanarsi.
Vedendomi sconvolto, il priore mi disse di non preoccuparmi, che padre Germano era un esagitato e che a parer suo aveva frequentato troppi eretici. Non feci commenti e raccontai in quanto avevo appreso.
Descrissi dapprima la natura dei luoghi. Dall’alto del monte una cascata dava origine a un profondo e tumultuoso ruscello che si era scavato un profondo alveo. Questo ruscello ribollente di limpide acque, facendo una curva scorreva in basso alla collina parallelo alla vecchia strada romana diventando fiume. Alla sinistra della cascata, una foresta cupa e densa di alberi si inerpicava verso i monti. Alla destra, circondato da pascoli dolcemente digradanti, si ergeva il borgo.
Un ponticello di legno, proprio sotto la cascata, collegava il borgo con la foresta, mentre un sentiero con ampie curve digradava dal borgo al ponte in pietra. Opera anche lui degli antichi romani. Ponte che si collegava alla strada.
“Parlami della gente!” mi interruppe il padre priore. Gli risposi che potevo dire poco, quasi niente. Stimavo in cento case la grandezza del borgo. Con due chiese e un piccolo oratorio nascosto nel folto del bosco. Una torre era stata costruita sul ponte, chiudendo così con un cancello in ferro la strada che portava dal ponte alla strada romana. Se, non veniva aperto, non si poteva varcare il ponte. Mi venne rifiutato l’ingresso a e alle mie proteste mi venne risposto di aspettare, che avrebbero chiamato il prete. Mi venne indicato di attendere presso un gruppo di costruzioni, da dove un uomo di carnagione scura, mi contemplò senza parlare. Finalmente arrivò il prete. Un omino sparuto che mi parlò attraverso il cancello, ingiungendomi per prima cosa di stare lontano almeno cinquanta passi. “Per via della peste” aggiunse. “Non è arrivata e non la vogliamo.”
Osservai che non avevo visto nessuna cappella e nemmeno una croce a protezione della strada.
“A cosa serve?” Mi rispose il prete segnandosi. “Qui metà della gente è albigese o bogomila e l’altra metà è pagana. Chiedono protezione agli spiriti dei boschi e non alla Chiesa”. Gli chiesi allora come agisse. Sorrise amaramente dicendo che pregava in una chiesa vuota e cercava di farsi amare. Chiesi se avesse avuto aiuto dai confratelli e mi rispose che l’ultima visita di religiosi, benché accompagnati da guardie, si era risolto con un massacro e i corpi erano stati gettati nel fiume. In ogni caso ora avevano costruito la torre sul ponte e l’ingresso al borgo era vietato agli stranieri.
Gli esposi il vostro desiderio su come evitare la peste e che questa richiesta era fatta in nome dell’amore per il Cristo e che avevate timore che se la peste fosse arrivata, morti i monaci, il tesoro di libri del convento sarebbe andato perso. Il prete mi disse che il Vecchio e la sua aiutante avevano organizzato la protezione del borgo e preparato le medicine in caso di arrivo del morbo. Chiesi di parlare col Vecchio ma ottenni un diniego. Allora come da vostra istruzione gli dissi che forse il mio priore conosceva il Vecchio e io avevo una prova da consegnare per il riconoscimento. Pensavo di dargliela così mi avvicinai al cancello e gli tesi quella sottile cintura nera attaccata a una scatoletta, che mi avevate dato.
Il prete mi sembra recitasse una orazione poi disse di consegnare la cintura a Ghiorghian che era l’uomo moro che avevo visto.
Questi mi disse di gettare la cintura nell’erba da cui la raccolse con un forcone per gettarla in un grosso pentolone posto sopra un fuoco. Sentivo il borbottio dell’acqua che si scaldava. Avevo timore che distruggesse la cintura, ma non osai parlare. Questo Ghiorghian buttò nell’acqua una manciata di polvere gialla che dall’odore capii essere zolfo e un cucchiaio di sale. Lasciò bollire tutto per il tempo di un Pater Noster immergendo anche il forcone nell’acqua bollente. Poi sempre usando il forcone, mise il cinturino in un paniere e lo portò al cancello.
Notai allora che il cancello sino alla altezza della pancia di una persona non aveva aperture. ‘Non ci passerebbe neppure un topo’ pensai. Invece da una finestrella venne calata una fune a cui venne legato il paniere contenente la scatolina e il cinturino. Il prete disse di attendere che sarebbe andato dal Vecchio per chiedere un incontro. Era passata da poco il mezzogiorno e sarebbe stato di ritorno al mattino seguente. Avrei potuto dormire presso Ghiorghian. “Armeno ma cristiano” aggiunse.
Al mattino seguente, il prete mi portò la risposta. Sì, il Vecchio aveva riconosciuto il segno. Sì, potevo vederlo ma avrei dovuto fare la quarantena e sottopormi alle purificazioni. Potevo dimorare nelle case dell’armeno, e a lui obbedire. Il cibo mi sarebbe stato portato dal borgo.
Per sei settimane fui alloggiato in una capanna. Fortunatamente fu un mese di giugno asciutto.
Il mio solo compagno fu un muratore proveniente da Orléans. Aveva sentito della pestilenza in arrivo e saputo che il borgo voleva erigere un muro a protezione, si era presentato. Qui prima di farlo entrare lo avevano messo in quarantena. Quella sera, Ghiorghian l’armeno, mi istruì sulla quarantena.
Dovevo tenere pulita la capanna. I rifiuti di cibo o altro dovevano essere portati alla grande fossa. Per i bisogni era da usare la grande latrina. Le feci e le urine grazie a un canale che prendeva acqua dal ruscello a monte del ponte, venivano scaricate nel fiume a valle del ponte. Anche i rifiuti del borgo grazie a un canale finivano nel fiume a valle del ponte. Anche altre cose aveva stabilito il Vecchio. Proseguì a illustrare Ghiorghian. Il muratore intervenne dicendo che dapprima si era ribellato, ma riflettendo (sic dixit) le aveva trovate giuste. Ogni giorno dovevamo lavarci sotto un getto di acqua che un tubo di legno che grazie a una noria a tazza che la prelevava dal l’acqua fiume prima del ponte . Ci venne dato un pezzo di sapone duro che puzzava di zolfo.
Una volta alla settimana dovevamo immergerci in una fossa riempita di acqua bollente in cui Ghiorghian gettava un pugno di zolfo e una manciata di foglie di menta e degli spicchi di aglio. Lavarci bene immergendoci più volte con il corpo e anche con la testa. Inoltre, dovevamo prima di entrare nella fossa raderci completamente.
Nel frattempo, i nostri abiti che dovevamo lavare giornalmente, venivano avvolti in una rete e bolliti in acqua con zolfo. Mi ero risentito di questi rituali che avevo definito quasi stregoneschi. Ghiorghian mi fece bere un vino molto forte a cui aggiunse una goccia di spirito di vita (ipse dixit) e quando mi calmai spiegò che erano misure contro la peste. Egli stesso ne era stato malato e il Vecchio con le sue cure gli aveva salvato la vita. Nel suo paese, sostenne, la peste era conosciuta da moltissimi anni ed era mortifera. Lui venne abbandonato infetto dal suo padrone arabo presso Aleppo e sarebbe sicuramente morto se mosso a pietà il Vecchio che passava di lì con una carovana non lo avesse curato. Mi mostrò le cicatrici dove il Vecchio aveva inciso i bubboni. Perciò lo aveva seguito e ora su suo ordine controllava chi arrivasse. Risposi che a parte lavarsi, ci avrebbe protetto la Divina Provvidenza e che però non avevo visto nemmeno una croce. “Si” rispose “ma neppure un topo”. Mi resi conto che nel campo erano collocate moltissime trappole per topi e che moltissimi gatti circolavano anche nei prati vicini. Ghiorghian mi raccontò quello che sapeva sulla peste e che io riporto qui. Sostiene che la peste non dipende da congiunzioni di pianeti o fumi pestilenziali o malefici. Nel suo paese sanno che la malattia si diffonde dove ci sono topi. Le loro pulci saltano sugli uomini e li infettano e poi gli uomini si infettano l’un l’altro. Le pulci seguono le carovane e nascoste nei tessuti mordono gli uomini. Ma prima uccidono i topi. Per questo i nomadi quando vedono dei topi morti, abbandonano subito il posto e fuggono lontano. Per questo il Vecchio fa fare quarantena e lavaggi, per uccidere le pulci.
Dopo 40 giorni, potei varcare il cancello. Mi attendeva una donna non giovane, grande e di nobile aspetto.
Quando mi posò la mano sulla spalla mi ritrassi. “Non sono una strega ma la compagna del Vecchio” disse sorridendo. Mi ingiunse di seguirla badando però a camminare solo sul sentiero. Il sentiero era bordato da erbe profumate mescolate a piante di aglio. Spiegò che serviva a tenere lontano insetti, vermi e pulci o zecche.
Passai il ponticello e seguii la donna su una lunga scalinata che portava verso un fitto bosco. Vagammo per il bosco il tempo di due rosari, poi arrivammo ad una radura in cui una casa a due piani in legno si offriva alla vista. Un uomo anziano mi accolse. “sono il Vecchio” disse indicandosi e mi invitò a sedere.
La donna ci portò del vino e pane. Porgendomi la coppa e il piatto, il vecchio sussurrò qualcosa in una lingua che non compresi. Dopo che ebbi bevuto e sbocconcellato del pane, mi invitò a sedere e raccontare lo scopo del mio viaggio.
Gli parlai delle vostre richieste e delle vostre preoccupazioni e sfacciatamente, D-o mi perdoni, lo pregai di chiarirmi cosa avvenisse nel borgo.
Il Vecchio mi disse che mi sarei fermato per la notte lì e sarei ripartito al mattino, sì d’ avere tempo per ascoltare. Visto che avevo con me calamaio e penna, mi invitò a trascrivere quanto diceva.
Mi disse di essere giudeo di nome Abramo nato ad Aleppo e poi aver vissuto in Spagna e Francia ed essersi ritiratosi in questo luogo per sfuggire alla cattiveria degli uomini. Sul cinturino che mi avevate dato da consegnare, mi racconto questa storia. Erano di un tephillim, cassetta di legno che i giudei fissano al braccio con un cinturino per dire le orazioni. Molto tempo prima, raccontò il Vecchio, era servito a salvare una vita. Vidi che il Vecchio voleva raccontare. Con gli occhi gli feci cenno di proseguire. Mi disse che durante la crociata del 1319 contro Granada la Mora, un giovane cavaliere aveva salvato sua moglie dalla violenza e per punizione i militi spagnoli gli avevano squarciato la gamba. Lo aveva salvato. Stava pregando, così tolto il tephillim del braccio, aveva stretto la coscia col cinturino per fermare l’emorragia. Gli aveva avvolto il manto da preghiera intorno alla gamba ferita, poi essendo medico, gli aveva dato succo di oppio e ricucito lo squarcio con il grossolano filo che usava la moglie per cucire. Aveva regalato il cinturino al cavaliere dicendogli che se avesse in futuro avuto bisogno di lui, glielo mandasse.
Gli risposi che adesso capivo perché voi padre priore zoppicavate e avevate in astio i crociati.
Gli ripetei che volevate delle medicine contro la peste in arrivo perché temevate per i nostri corpi ma anche per la distruzione della biblioteca. Abramo rispose che chi salva un libro salva il mondo. E mi istruì.
“Devi sapere” iniziò “che dove sono nato, la peste è frequente ma i nostri corpi sono abituati e perciò è meno mortale, ma per voi è morte sicura.”
“Vedi questo borgo che mi ha accolto e che ha deciso di seguire i miei consigli per difendersi dal morbo?”
“Ho fatto costruire delle fogne così i liquami vanno diretti al fiume, ho fatto fare fossi per i rifiuti che vengono coperti di calce e poi bruciati. L’acqua pulita arriva alla fontana tramite un canale all’uso romano che la preleva alla cascata. Una volta alla settimana, il venerdì, come usiamo noi giudei, li faccio lavare tutti con acqua della fontana e con sapone di zolfo. Gli abiti li faccio lavare in acqua bollente con zolfo. Questo per uccidere pidocchi e pulci. Perché sono questi che con il loro morso diffondono la peste. Siccome le strade del borgo scendono verso il fiume, faccio portare l’acqua con zolfo al sommo e poi la faccio scorrere verso il fiume. Le pulci le portano i topi. Per questo siamo sempre a caccia per ucciderli. Hai visto quanti gatti abbiamo? Almeno uno per casa. Il topo morto lo raccogliamo con un forcone dal lungo manico e lo buttiamo in un bidone di latte di calce. Poi lo bruciamo. Importante stare lontani. Se qualcuno è sospettato di essere infetto, seguendo quello che dice la Bibbia, valutiamo le sue ulcere e lo mandiamo nella casa dell’isolamento, quella che sta prima del ponte.
Se le ulcere dopo quattordici giorni sono scomparse, lo riammettiamo nel borgo. Così si evita il contagio.” Annotai tutto con cura.
Rilevai che questo era per evitare il contagio, “ma se uno si ammalava cosa fare?” chiesi.
Sorrise. “Secondo alcuni dei vostri preti” disse “dovreste confessarvi, pregare, e attendere l’inevitabile castigo di Dio”. “Ma”, soggiunse “se non sbaglio il vostro messia vi ha imposto di curare gli infermi.”
“Domani mattina ti farò vedere quali medicine e rimedi possono essere utili”. Era calata la sera e abbiamo pregato ognuno nella sua fede e poi cenato. Dopo cena raccontò della Siria e di Aleppo dove è nato e come è arrivato in Spagna. Un bicchiere di vino fu il viatico per un buon sonno.
Al mattino seguente mi svegliò per farmi assistere alla pulizia di un bubbone. “Non è di peste, ma la cura è la stessa. Si apre e pulisce e spesso si guarisce. Importante mai toccarlo e meno che mai toccare il pus.”
Fece portare dalla donna due catini. In un pieno di acqua bollente versò sale e zolfo, l’altro era pieno di latte di calce. In quello pieno di acqua bollente mise delle lame di ferro. Il contadino aveva un bubbone enorme all’ascella e si lamentava fortemente. Abramo lo fece spogliare e si assicurò che fosse stato lavato e rasato intorno al bubbone. Poi mi disse che gli dava una bevanda per addormentarlo e non fargli sentire dolore. Aveva mescolato succo di mandragora cinque gocce, un cucchiaio di decotto di malva, un cucchiaio di decotto di foglie di salice, un cucchiaio di succo di papavero, con un bicchiere di vino.
Stese il malato sul tavolo e messosi dei guanti di una stoffa sottile, seta penso, bagnati di acqua di vita, intinse un pennello nel latte di calce e spennellò un punto del bubbone. “A lungo” disse “finché la pelle diventa lucida ed è pronta a rompersi”. Prese un ferro dal catino, ne sfregò la punta con l’acqua di vita e la passò sulla brace. Poi incise, avvicinata una ciotola al bubbone face sì che il pus colasse nella ciotola. Prese un altro ferro e fece alcuni tagli sul bubbone finché non colò anche sangue fresco. Allora prese una manciata di muschio, la intinse nell’acqua in cui riposavano i ferri è pulì la ferita. La donna gli porse un piccolo quadrato di pelle di rospo e delle foglie di salice e della muffa verde da una mela. Lui coprì la ferita con l’impacco di foglie e muffa tenuto fermo da una striscia di tessuto. Ecco come si fa, disse per i bubboni. Ebbe pietà e visto che non riuscivo a scrivere ordinatamente tutti i rimedi, mi preparò la descrizione per voi che allego alla storia. Mi ricordo che aveva elogiato le virtù del decotto di foglie di salice che propriamente preparato poteva curare quasi tutto.
Ci salutammo e la donna mi riaccompagnò al ponte. Qui mi fecero uscire e ripresi il cammino verso il convento.
Notai che c’erano veramente tanti gatti. Ecco reverendo priore, questo è il racconto del mio viaggio che ho debitamente messo in scritto. Ecco la distinta delle medicine compilata dal Vecchio, e questo rosario che gli avevate donato e che lui vi restituisce perché ora ne avete più bisogno voi.”
Come ho già detto, Padre Germano nascosto dietro la porta ci aveva spiato. Poi era intervenuto e inveito contro noi. Quindi se ne era andato infuriato.
Il padre priore contento per quanto avevo fatto mi permise di andare a visitare la mia vecchia zia a un giorno di viaggio dal convento. Avevo deciso di prendermi una settimana per stare con lei, ma voci che parlavano dell’avvicinarsi della pestilenza mi indussero ad anticipare il rientro. Quando arrivai al convento, incontrai il padre custode che con una sporta in spalla usciva dal portone. Con le lacrime agli occhi, mi mise al corrente degli avvenimenti.
Padre Germano, quel fanatico, aveva ottenuto un mandato scritto dal papa che autorizzava la rimozione del nostro priore per sospetta eresia. Autorizzava anche la eliminazione di tutti i libri salvo i Vangeli, breviari e opere dei Padri dalla nostra biblioteca. Ordinava la distruzione del mio resoconto in quanto i rimedi erano forniti da un negromante giudeo e dalla sua strega. Per questi si dava incarico a padre Germano, nuovo priore, di cercarli e portarli di fronte alla Inquisizione. Il convento avrebbe combattuto contro la pestilenza con la forza della preghiera e Dio avrebbe deciso chi dovesse morire. “Vai via!” Mi disse il padre guardiano, “ti aspettano per portarti di fronte all’Inquisizione.”
Così, ora vivo nascosto nelle montagne della Savoia. Ho barattato il saio per una veste di pastore e cerco di ricordarmi quali cure mi aveva spiegato Abramo. Se non posso guarire gli ammalati almeno regalo loro l’illusione di essere curati. Il vecchio e la bimba che mi aveva presentato come nipote, mi guardarono con occhi tristi. Erano fuggiti per sottrarsi alla pestilenza.
Mi rivolsi al confratello che me li aveva portati: “questa è tutta la mia storia fratello Mattia. Che il Signore vi protegga. Ora dormite che domani all’alba dovrete partire.”
“Cosa fai lì? Siediti”.
Brusco come sempre, il padre priore mi indicò lo sgabello. Zoppicando a causa della gamba ferita durante la crociata, si diresse verso lo scranno che dominava la sala.
Sedutosi, batté impaziente il bastone sul pavimento per richiamare la mia attenzione e mi ingiunse: “racconta”. “Reverendo Padre” iniziai, “come sapete la peste già da due anni avanza portando morte.” “Sì, questo lo so” rispose “ma della tua indagine cosa mi dici?” “Come mi avete chiesto” iniziai,” ho trovato il borgo dove dicono la peste non alligni. Intorno i villaggi e le campagne sono stati percossi dal castigo divino, ma lì non vi è morte. Vi racconterò i dettagli. Ora sappiate che il prete del borgo mi ha confermato che malgrado la scarsa fede e la vita peccaminosa e il poco rispetto per la Santa Madre Chiesa, gli abitanti godono di buona salute.”
Il padre priore si fece attento. Continuai pesando le parole “Il prete mi ha raccontato di un uomo e della sua compagna che con suggerimenti hanno evitato il diffondersi della epidemia. Il prete del borgo che avevo incontrato l’anno prima al pellegrinaggio di santa Agata, ritiene sia un negromante e la donna la sua strega, ma i villici dicono essere persona gentile e sapiente nelle cure mediche. Già da anni e prima della pestilenza con erbe mediche e pomate e infusi curava le loro malattie. Richiesti se questo uomo avesse chiesto di commettere atti sacrileghi o rinnegare Cristo, i villici, hanno risposto che no, anzi che era in buoni rapporti col prete, curando che venisse data l’estrema unzione a coloro che non aveva guarito. Mi sono annotato i suoi consigli contro la peste.”
“Padre Germano” il priore puntò il bastone verso la porta che, leggermente socchiusa lasciava intravedere un paio di sandali. “Se avete da commentare, prego non state nell’ombra come un ladro, ma venite avanti e dite la vostra opinione”. Padre Germano alto, magro, barbuto e con gli occhi da folle, iniziò a inveire “Ma che storie sono? Nessuno può curare il morbo. Questa è la giusta punizione per i nostri peccati e per essi tutti dovremo morire. Chi si oppone o crede nei rimedi terreni è contro Dio e di per sé eretico.”
“Padre Germano, ascoltate” rispose il priore “potreste avere ragione, ma ora andate. Curare i malati è opera di misericordia e io vedo che muoiono i peccatori e anche i santi”. Padre Germano prima di uscire si girò verso di me e sibilò:” Anche tu, peccatore che ti diletti di scrivere e copiare testi di lussuria invece di dedicarti solo ai Vangeli, morirai e la tua carne sarà putrida come la tua anima. Saranno cibo per le bestie e Satana.”
Padre Germano chiuse la porta e sentimmo i passi allontanarsi.
Vedendomi sconvolto, il priore mi disse di non preoccuparmi, che padre Germano era un esagitato e che a parer suo aveva frequentato troppi eretici. Non feci commenti e raccontai in quanto avevo appreso.
Descrissi dapprima la natura dei luoghi. Dall’alto del monte una cascata dava origine a un profondo e tumultuoso ruscello che si era scavato un profondo alveo. Questo ruscello ribollente di limpide acque, facendo una curva scorreva in basso alla collina parallelo alla vecchia strada romana diventando fiume. Alla sinistra della cascata, una foresta cupa e densa di alberi si inerpicava verso i monti. Alla destra, circondato da pascoli dolcemente digradanti, si ergeva il borgo.
Un ponticello di legno, proprio sotto la cascata, collegava il borgo con la foresta, mentre un sentiero con ampie curve digradava dal borgo al ponte in pietra. Opera anche lui degli antichi romani. Ponte che si collegava alla strada.
“Parlami della gente!” mi interruppe il padre priore. Gli risposi che potevo dire poco, quasi niente. Stimavo in cento case la grandezza del borgo. Con due chiese e un piccolo oratorio nascosto nel folto del bosco. Una torre era stata costruita sul ponte, chiudendo così con un cancello in ferro la strada che portava dal ponte alla strada romana. Se, non veniva aperto, non si poteva varcare il ponte. Mi venne rifiutato l’ingresso a e alle mie proteste mi venne risposto di aspettare, che avrebbero chiamato il prete. Mi venne indicato di attendere presso un gruppo di costruzioni, da dove un uomo di carnagione scura, mi contemplò senza parlare. Finalmente arrivò il prete. Un omino sparuto che mi parlò attraverso il cancello, ingiungendomi per prima cosa di stare lontano almeno cinquanta passi. “Per via della peste” aggiunse. “Non è arrivata e non la vogliamo.”
Osservai che non avevo visto nessuna cappella e nemmeno una croce a protezione della strada.
“A cosa serve?” Mi rispose il prete segnandosi. “Qui metà della gente è albigese o bogomila e l’altra metà è pagana. Chiedono protezione agli spiriti dei boschi e non alla Chiesa”. Gli chiesi allora come agisse. Sorrise amaramente dicendo che pregava in una chiesa vuota e cercava di farsi amare. Chiesi se avesse avuto aiuto dai confratelli e mi rispose che l’ultima visita di religiosi, benché accompagnati da guardie, si era risolto con un massacro e i corpi erano stati gettati nel fiume. In ogni caso ora avevano costruito la torre sul ponte e l’ingresso al borgo era vietato agli stranieri.
Gli esposi il vostro desiderio su come evitare la peste e che questa richiesta era fatta in nome dell’amore per il Cristo e che avevate timore che se la peste fosse arrivata, morti i monaci, il tesoro di libri del convento sarebbe andato perso. Il prete mi disse che il Vecchio e la sua aiutante avevano organizzato la protezione del borgo e preparato le medicine in caso di arrivo del morbo. Chiesi di parlare col Vecchio ma ottenni un diniego. Allora come da vostra istruzione gli dissi che forse il mio priore conosceva il Vecchio e io avevo una prova da consegnare per il riconoscimento. Pensavo di dargliela così mi avvicinai al cancello e gli tesi quella sottile cintura nera attaccata a una scatoletta, che mi avevate dato.
Il prete mi sembra recitasse una orazione poi disse di consegnare la cintura a Ghiorghian che era l’uomo moro che avevo visto.
Questi mi disse di gettare la cintura nell’erba da cui la raccolse con un forcone per gettarla in un grosso pentolone posto sopra un fuoco. Sentivo il borbottio dell’acqua che si scaldava. Avevo timore che distruggesse la cintura, ma non osai parlare. Questo Ghiorghian buttò nell’acqua una manciata di polvere gialla che dall’odore capii essere zolfo e un cucchiaio di sale. Lasciò bollire tutto per il tempo di un Pater Noster immergendo anche il forcone nell’acqua bollente. Poi sempre usando il forcone, mise il cinturino in un paniere e lo portò al cancello.
Notai allora che il cancello sino alla altezza della pancia di una persona non aveva aperture. ‘Non ci passerebbe neppure un topo’ pensai. Invece da una finestrella venne calata una fune a cui venne legato il paniere contenente la scatolina e il cinturino. Il prete disse di attendere che sarebbe andato dal Vecchio per chiedere un incontro. Era passata da poco il mezzogiorno e sarebbe stato di ritorno al mattino seguente. Avrei potuto dormire presso Ghiorghian. “Armeno ma cristiano” aggiunse.
Al mattino seguente, il prete mi portò la risposta. Sì, il Vecchio aveva riconosciuto il segno. Sì, potevo vederlo ma avrei dovuto fare la quarantena e sottopormi alle purificazioni. Potevo dimorare nelle case dell’armeno, e a lui obbedire. Il cibo mi sarebbe stato portato dal borgo.
Per sei settimane fui alloggiato in una capanna. Fortunatamente fu un mese di giugno asciutto.
Il mio solo compagno fu un muratore proveniente da Orléans. Aveva sentito della pestilenza in arrivo e saputo che il borgo voleva erigere un muro a protezione, si era presentato. Qui prima di farlo entrare lo avevano messo in quarantena. Quella sera, Ghiorghian l’armeno, mi istruì sulla quarantena.
Dovevo tenere pulita la capanna. I rifiuti di cibo o altro dovevano essere portati alla grande fossa. Per i bisogni era da usare la grande latrina. Le feci e le urine grazie a un canale che prendeva acqua dal ruscello a monte del ponte, venivano scaricate nel fiume a valle del ponte. Anche i rifiuti del borgo grazie a un canale finivano nel fiume a valle del ponte. Anche altre cose aveva stabilito il Vecchio. Proseguì a illustrare Ghiorghian. Il muratore intervenne dicendo che dapprima si era ribellato, ma riflettendo (sic dixit) le aveva trovate giuste. Ogni giorno dovevamo lavarci sotto un getto di acqua che un tubo di legno che grazie a una noria a tazza che la prelevava dal l’acqua fiume prima del ponte . Ci venne dato un pezzo di sapone duro che puzzava di zolfo.
Una volta alla settimana dovevamo immergerci in una fossa riempita di acqua bollente in cui Ghiorghian gettava un pugno di zolfo e una manciata di foglie di menta e degli spicchi di aglio. Lavarci bene immergendoci più volte con il corpo e anche con la testa. Inoltre, dovevamo prima di entrare nella fossa raderci completamente.
Nel frattempo, i nostri abiti che dovevamo lavare giornalmente, venivano avvolti in una rete e bolliti in acqua con zolfo. Mi ero risentito di questi rituali che avevo definito quasi stregoneschi. Ghiorghian mi fece bere un vino molto forte a cui aggiunse una goccia di spirito di vita (ipse dixit) e quando mi calmai spiegò che erano misure contro la peste. Egli stesso ne era stato malato e il Vecchio con le sue cure gli aveva salvato la vita. Nel suo paese, sostenne, la peste era conosciuta da moltissimi anni ed era mortifera. Lui venne abbandonato infetto dal suo padrone arabo presso Aleppo e sarebbe sicuramente morto se mosso a pietà il Vecchio che passava di lì con una carovana non lo avesse curato. Mi mostrò le cicatrici dove il Vecchio aveva inciso i bubboni. Perciò lo aveva seguito e ora su suo ordine controllava chi arrivasse. Risposi che a parte lavarsi, ci avrebbe protetto la Divina Provvidenza e che però non avevo visto nemmeno una croce. “Si” rispose “ma neppure un topo”. Mi resi conto che nel campo erano collocate moltissime trappole per topi e che moltissimi gatti circolavano anche nei prati vicini. Ghiorghian mi raccontò quello che sapeva sulla peste e che io riporto qui. Sostiene che la peste non dipende da congiunzioni di pianeti o fumi pestilenziali o malefici. Nel suo paese sanno che la malattia si diffonde dove ci sono topi. Le loro pulci saltano sugli uomini e li infettano e poi gli uomini si infettano l’un l’altro. Le pulci seguono le carovane e nascoste nei tessuti mordono gli uomini. Ma prima uccidono i topi. Per questo i nomadi quando vedono dei topi morti, abbandonano subito il posto e fuggono lontano. Per questo il Vecchio fa fare quarantena e lavaggi, per uccidere le pulci.
Dopo 40 giorni, potei varcare il cancello. Mi attendeva una donna non giovane, grande e di nobile aspetto.
Quando mi posò la mano sulla spalla mi ritrassi. “Non sono una strega ma la compagna del Vecchio” disse sorridendo. Mi ingiunse di seguirla badando però a camminare solo sul sentiero. Il sentiero era bordato da erbe profumate mescolate a piante di aglio. Spiegò che serviva a tenere lontano insetti, vermi e pulci o zecche.
Passai il ponticello e seguii la donna su una lunga scalinata che portava verso un fitto bosco. Vagammo per il bosco il tempo di due rosari, poi arrivammo ad una radura in cui una casa a due piani in legno si offriva alla vista. Un uomo anziano mi accolse. “sono il Vecchio” disse indicandosi e mi invitò a sedere.
La donna ci portò del vino e pane. Porgendomi la coppa e il piatto, il vecchio sussurrò qualcosa in una lingua che non compresi. Dopo che ebbi bevuto e sbocconcellato del pane, mi invitò a sedere e raccontare lo scopo del mio viaggio.
Gli parlai delle vostre richieste e delle vostre preoccupazioni e sfacciatamente, D-o mi perdoni, lo pregai di chiarirmi cosa avvenisse nel borgo.
Il Vecchio mi disse che mi sarei fermato per la notte lì e sarei ripartito al mattino, sì d’ avere tempo per ascoltare. Visto che avevo con me calamaio e penna, mi invitò a trascrivere quanto diceva.
Mi disse di essere giudeo di nome Abramo nato ad Aleppo e poi aver vissuto in Spagna e Francia ed essersi ritiratosi in questo luogo per sfuggire alla cattiveria degli uomini. Sul cinturino che mi avevate dato da consegnare, mi racconto questa storia. Erano di un tephillim, cassetta di legno che i giudei fissano al braccio con un cinturino per dire le orazioni. Molto tempo prima, raccontò il Vecchio, era servito a salvare una vita. Vidi che il Vecchio voleva raccontare. Con gli occhi gli feci cenno di proseguire. Mi disse che durante la crociata del 1319 contro Granada la Mora, un giovane cavaliere aveva salvato sua moglie dalla violenza e per punizione i militi spagnoli gli avevano squarciato la gamba. Lo aveva salvato. Stava pregando, così tolto il tephillim del braccio, aveva stretto la coscia col cinturino per fermare l’emorragia. Gli aveva avvolto il manto da preghiera intorno alla gamba ferita, poi essendo medico, gli aveva dato succo di oppio e ricucito lo squarcio con il grossolano filo che usava la moglie per cucire. Aveva regalato il cinturino al cavaliere dicendogli che se avesse in futuro avuto bisogno di lui, glielo mandasse.
Gli risposi che adesso capivo perché voi padre priore zoppicavate e avevate in astio i crociati.
Gli ripetei che volevate delle medicine contro la peste in arrivo perché temevate per i nostri corpi ma anche per la distruzione della biblioteca. Abramo rispose che chi salva un libro salva il mondo. E mi istruì.
“Devi sapere” iniziò “che dove sono nato, la peste è frequente ma i nostri corpi sono abituati e perciò è meno mortale, ma per voi è morte sicura.”
“Vedi questo borgo che mi ha accolto e che ha deciso di seguire i miei consigli per difendersi dal morbo?”
“Ho fatto costruire delle fogne così i liquami vanno diretti al fiume, ho fatto fare fossi per i rifiuti che vengono coperti di calce e poi bruciati. L’acqua pulita arriva alla fontana tramite un canale all’uso romano che la preleva alla cascata. Una volta alla settimana, il venerdì, come usiamo noi giudei, li faccio lavare tutti con acqua della fontana e con sapone di zolfo. Gli abiti li faccio lavare in acqua bollente con zolfo. Questo per uccidere pidocchi e pulci. Perché sono questi che con il loro morso diffondono la peste. Siccome le strade del borgo scendono verso il fiume, faccio portare l’acqua con zolfo al sommo e poi la faccio scorrere verso il fiume. Le pulci le portano i topi. Per questo siamo sempre a caccia per ucciderli. Hai visto quanti gatti abbiamo? Almeno uno per casa. Il topo morto lo raccogliamo con un forcone dal lungo manico e lo buttiamo in un bidone di latte di calce. Poi lo bruciamo. Importante stare lontani. Se qualcuno è sospettato di essere infetto, seguendo quello che dice la Bibbia, valutiamo le sue ulcere e lo mandiamo nella casa dell’isolamento, quella che sta prima del ponte.
Se le ulcere dopo quattordici giorni sono scomparse, lo riammettiamo nel borgo. Così si evita il contagio.” Annotai tutto con cura.
Rilevai che questo era per evitare il contagio, “ma se uno si ammalava cosa fare?” chiesi.
Sorrise. “Secondo alcuni dei vostri preti” disse “dovreste confessarvi, pregare, e attendere l’inevitabile castigo di Dio”. “Ma”, soggiunse “se non sbaglio il vostro messia vi ha imposto di curare gli infermi.”
“Domani mattina ti farò vedere quali medicine e rimedi possono essere utili”. Era calata la sera e abbiamo pregato ognuno nella sua fede e poi cenato. Dopo cena raccontò della Siria e di Aleppo dove è nato e come è arrivato in Spagna. Un bicchiere di vino fu il viatico per un buon sonno.
Al mattino seguente mi svegliò per farmi assistere alla pulizia di un bubbone. “Non è di peste, ma la cura è la stessa. Si apre e pulisce e spesso si guarisce. Importante mai toccarlo e meno che mai toccare il pus.”
Fece portare dalla donna due catini. In un pieno di acqua bollente versò sale e zolfo, l’altro era pieno di latte di calce. In quello pieno di acqua bollente mise delle lame di ferro. Il contadino aveva un bubbone enorme all’ascella e si lamentava fortemente. Abramo lo fece spogliare e si assicurò che fosse stato lavato e rasato intorno al bubbone. Poi mi disse che gli dava una bevanda per addormentarlo e non fargli sentire dolore. Aveva mescolato succo di mandragora cinque gocce, un cucchiaio di decotto di malva, un cucchiaio di decotto di foglie di salice, un cucchiaio di succo di papavero, con un bicchiere di vino.
Stese il malato sul tavolo e messosi dei guanti di una stoffa sottile, seta penso, bagnati di acqua di vita, intinse un pennello nel latte di calce e spennellò un punto del bubbone. “A lungo” disse “finché la pelle diventa lucida ed è pronta a rompersi”. Prese un ferro dal catino, ne sfregò la punta con l’acqua di vita e la passò sulla brace. Poi incise, avvicinata una ciotola al bubbone face sì che il pus colasse nella ciotola. Prese un altro ferro e fece alcuni tagli sul bubbone finché non colò anche sangue fresco. Allora prese una manciata di muschio, la intinse nell’acqua in cui riposavano i ferri è pulì la ferita. La donna gli porse un piccolo quadrato di pelle di rospo e delle foglie di salice e della muffa verde da una mela. Lui coprì la ferita con l’impacco di foglie e muffa tenuto fermo da una striscia di tessuto. Ecco come si fa, disse per i bubboni. Ebbe pietà e visto che non riuscivo a scrivere ordinatamente tutti i rimedi, mi preparò la descrizione per voi che allego alla storia. Mi ricordo che aveva elogiato le virtù del decotto di foglie di salice che propriamente preparato poteva curare quasi tutto.
Ci salutammo e la donna mi riaccompagnò al ponte. Qui mi fecero uscire e ripresi il cammino verso il convento.
Notai che c’erano veramente tanti gatti. Ecco reverendo priore, questo è il racconto del mio viaggio che ho debitamente messo in scritto. Ecco la distinta delle medicine compilata dal Vecchio, e questo rosario che gli avevate donato e che lui vi restituisce perché ora ne avete più bisogno voi.”
Come ho già detto, Padre Germano nascosto dietro la porta ci aveva spiato. Poi era intervenuto e inveito contro noi. Quindi se ne era andato infuriato.
Il padre priore contento per quanto avevo fatto mi permise di andare a visitare la mia vecchia zia a un giorno di viaggio dal convento. Avevo deciso di prendermi una settimana per stare con lei, ma voci che parlavano dell’avvicinarsi della pestilenza mi indussero ad anticipare il rientro. Quando arrivai al convento, incontrai il padre custode che con una sporta in spalla usciva dal portone. Con le lacrime agli occhi, mi mise al corrente degli avvenimenti.
Padre Germano, quel fanatico, aveva ottenuto un mandato scritto dal papa che autorizzava la rimozione del nostro priore per sospetta eresia. Autorizzava anche la eliminazione di tutti i libri salvo i Vangeli, breviari e opere dei Padri dalla nostra biblioteca. Ordinava la distruzione del mio resoconto in quanto i rimedi erano forniti da un negromante giudeo e dalla sua strega. Per questi si dava incarico a padre Germano, nuovo priore, di cercarli e portarli di fronte alla Inquisizione. Il convento avrebbe combattuto contro la pestilenza con la forza della preghiera e Dio avrebbe deciso chi dovesse morire. “Vai via!” Mi disse il padre guardiano, “ti aspettano per portarti di fronte all’Inquisizione.”
Così, ora vivo nascosto nelle montagne della Savoia. Ho barattato il saio per una veste di pastore e cerco di ricordarmi quali cure mi aveva spiegato Abramo. Se non posso guarire gli ammalati almeno regalo loro l’illusione di essere curati. Il vecchio e la bimba che mi aveva presentato come nipote, mi guardarono con occhi tristi. Erano fuggiti per sottrarsi alla pestilenza.
Mi rivolsi al confratello che me li aveva portati: “questa è tutta la mia storia fratello Mattia. Che il Signore vi protegga. Ora dormite che domani all’alba dovrete partire.”