mercoledì 3 gennaio 2018

Il naufragio della Santa Brigida

Piazza truogoli di Santa Brigida' - Genova
Betta scese dal carro, prese il suo bagaglio e quello di Anna e aiutò la donna a scendere a sua volta. Erano arrivate a destinazione, finalmente. Erano occorse alcune ore per coprire la distanza da Genova all’abitato di San Michê (1), l’antico porto di Rapallo, ora parte del sestiere di Olivastro; erano tutt’e due stanche e indolenzite. S’erano messe in viaggio al mattino, di buon’ora, dirette alla casa di Maria, la figlia di Anna, che abitava col marito Gianni in una casa del villaggio dei pescatori di fronte alla baia, in località Pomaro. Tra pochi giorni avrebbe partorito per la prima volta; la gravidanza l’aveva appesantita e affannava a ogni passo. Aveva bisogno di quell’aiuto che l’uomo, sempre fuori per mare, non le poteva offrire. Il parto, poi, era un affare da donne. Salutarono e ringraziarono Andrea, il parente di Anna che le aveva accompagnate, che proseguì il suo viaggio di affari; sarebbe passato a riprenderle tra una quindicina di giorni.
Maria aprì l’uscio di casa e si fece loro incontro sorridendo. Madre   e figlia si abbracciarono, poi fu la volta di Betta. Era una bella mattina di primavera, dal cielo sgombro di nubi il sole spandeva il suo tepore all’intorno. Entrarono e sistemarono i bagagli accanto ai pagliericci preparati per il loro riposo notturno nell’unica stanza della casa, che fungeva da cucina, stanza da pranzo e camera da letto. 
Si raccontarono le ultime novità. Nonostante la distanza tra loro non fosse eccessiva, madre e figlia non si vedevano spesso. Intanto l’acqua stava bollendo nel grosso paiolo di rame. Maria vi versò un po’ di sale e delle verdure, sulle quali si basava il sostentamento della famiglia, insieme al pane cotto nel forno e al pesce che veniva conservato sotto sale, perché durasse a lungo. Quello del pescatore era un mestiere duro e legato all’incertezza, ma Gianni e Maria non si lamentavano. Certo, col bambino ci sarebbe stata una bocca da sfamare in più… sarebbero occorsi degli anni, prima che fosse grande abbastanza da andare per mare con suo padre.
Betta allungò il cavalletto e vi pose sopra il legno che fungeva da tavola, vi stese sopra la tovaglia, apparecchiò e dispose le sedie attorno al desco.  Aveva accompagnato Anna, cara amica di sua madre, per aiutarla durante il parto della figlia; ma i suoi pensieri vagavano da tutt’altra parte. In realtà si trovava a Rapallo, in quel maggio dell’anno di grazia 1452, per la sua ricerca.
Aveva da poco compiuto i 18 anni ed era una ragazza vivace e molto attraente, con le sue forme morbide, i lunghi capelli corvini ondulati, la carnagione chiara, i verdi occhi ridenti.
Era accaduto tre anni prima. Con la madre e il fratellino (il padre era mancato da poco) abitava in un caruggetto (2) che immetteva nella Piazza di Santa Brigida, dov’erano i truogoli (3). Santa Brigida di Svezia era passata da Genova e, tra l’altro, vi aveva fondato un grande convento, che ospitava (in locali rigorosamente separati) sia frati che suore. Il convento era posto in alto e la piazza appena in basso, scendendo verso il mare. La madre di Betta manteneva la famiglia col mestiere di bügaixa (4). Al mattino percorreva, col cesto dei panni da lavare sulla testa, i pochi metri che separavano la casa dai truogoli, mentre la ragazza rassettava e accudiva il fratellino. A una cert’ora, Betta metteva il piccolo a dormire e raggiungeva la madre, ritirava i panni lavati, li stendeva ad asciugare e li portava ai proprietari, appartenenti alle famiglie più in vista della città. Tutti sapevano quanto le due donne fossero accurate e oneste; per questo il lavoro non mancava mai.
Quella mattina Betta si avviò di buon passo alla volta di Vico Indoratori, verso la casa dei Fieschi. Non si fermava mai a parlare con nessuno, guardando senza vederle le botteghe colorate che si affacciavano sulla strada. Percorse svelta Via di Prè, traversò Porta dei Vacca e imboccò Via del Campo, poi Via San Luca sino a Piazza Banchi; infine giunse a destinazione. Aveva quasi corso, per quanto glielo consentiva il peso che portava sulla testa. Si fermò per riprendere fiato; e fu allora che lo notò. Dietro di lei, a una qualche distanza, stava un ragazzo di circa una ventina d’anni, alto e magro, biondo, dall’aria scanzonata. Da quanto la seguiva? Stranamente però non provava irritazione o spavento; si sentiva piuttosto protetta. Le venne spontaneo ricambiare il sorriso che le rivolsero i suoi occhi cerulei; e nessuno dei due fu più padrone di  se stesso.
Ogni minima occasione era buona per rubare anche un solo istante da trascorrere insieme. Erano talmente presi l’uno dell’altra, che spesso faticavano a rimanere presenti alla vita che si svolgeva loro intorno. Betta continuava a guardarlo, e pensava felice alla sua fortuna. Lorenzo – questo il nome del giovane – era bello come il sole; e una volta glielo disse.
Dopo tre mesi si confessarono guardandosi negli occhi che avrebbero voluto sposarsi. Ma per metter su famiglia c’era bisogno di denaro; e Lorenzo era orfano. Era stato accolto in casa da uno zio paterno, maestro d’ascia, e aveva quasi terminato gli anni di apprendistato, con buoni risultati. Dopo l’esame di ammissione all’esercizio della professione, contava di imbarcarsi su una delle tante navi in partenza da Genova in viaggio commerciale. Nel passato, quando Genova dominava i mari del mondo conosciuto, il volume degli scambi era più ampio e i traffici più intensi; poi, circa un secolo addietro, la grande pestilenza venuta dall’Oriente si era diffusa in tutta l’Europa, decimandone la popolazione e rendendo più difficili i contatti. Ed erano state proprio le navi genovesi a veicolarla involontariamente nel vecchio continente. Inoltre, le colonie genovesi affacciate sul Mare Maius (5) si erano fatte meno sicure. Voci insistenti riferivano che i turchi stavano preparando un attacco in grande stile.
A dispetto di ciò, i viaggi di affari dalla Superba proseguivano.
In porto era stata armata una cocca (6), la Santa Brigida, e l’allestimento, con tutti i materiali e gli attrezzi occorrenti per il viaggio, più una gran quantità di provviste non deperibili e acqua, durava da un mese e si sarebbe protratto per un periodo analogo. Destinazione: Kafà (7), la più importante colonia genovese della Gazaria (8), nella quale confluivano le merci provenienti dall’occidente e quelle trasportate dall’oriente dalle carovane lungo la Via della Seta. La partenza era prevista per i primi giorni di aprile.
Lorenzo era curioso di novità, ma soprattutto smaniava di guadagnare il necessario per potersi sposare. Quella ragazza gli metteva la febbre addosso. A volte s’incontravano da soli e si baciavano furiosamente ma lui, pur avvertendo che non avrebbe incontrato resistenza, si fermava sempre in tempo, non volendo compromettere la reputazione di lei. Era uno sforzo immane. A Betta questo lo rendeva ancora più caro.
Giorgio, un amico che faceva il calafato, gli presentò un mercante in procinto di imbarcarsi sulla Santa Brigida, garantendo per lui. Lorenzo fu assunto come aiuto maestro d’ascia. Il contratto, per invogliare i marinai ed evitare fughe, prevedeva la partecipazione ad una parte dei profitti. A Lorenzo non parve vero, anche se percepiva qualcosa come di poco chiaro, senza capire esattamente.
Entusiasta corse da Betta a darle la notizia; la ragazza mostrò di condividere la sua eccitazione, anche se il viaggio avrebbe significato per loro un lungo periodo di separazione.
Il 2 aprile la Santa Brigida salpò, carica di vino e tessuti; Betta era sul molo. Guardò la nave farsi sempre più piccina e poi sparire all’orizzonte. “Quando tornerò, nulla potrà più separarci” erano state le ultime parole di Lorenzo.
Negli occhi del ragazzo era passata un’ombra, che lei aveva attribuito alla tristezza del distacco.
Non pianse; si voltò e si affrettò pensierosa verso casa. Riprese la vita di sempre, contando i giorni.
Era trascorso poco più di un anno quando un mercante portò da Rapallo la notizia che un mese prima la Santa Brigida, proveniente da Kafà, era scomparsa in uno spaventoso naufragio causato da una terribile libecciata, al largo delle coste di quella città. Nessuno si era salvato e l’intero carico era andato perduto.
Ci pensò sua madre, che sapeva di Lorenzo, ad informare Betta. La ragazza divenne taciturna e scontrosa. Un tarlo non le dava pace; sentiva che lui non poteva essere morto.
Sino a che una sera, di ritorno da una consegna, passando davanti a una taverna udì una voce maschile un po’ contraffatta farfugliare: “La Santa Brigida… il naufragio… non tutti perirono… uno di loro si salvò”. Betta ebbe l’ardire di entrare. I presenti la guardarono come a volerla spogliare con gli occhi, lei li ignorò e si avvicinò all’uomo, all’apparenza un vagabondo.
“Chi? Chi era il naufrago? Un ragazzo? E dov’è adesso?”
L’uomo, piuttosto alticcio, si mostrò confuso a quel fuoco di fila di domande, mentre gli astanti si sbellicavano impietosamente dalle risate. Il taverniere faceva segni di non dar retta all’uomo, evidentemente un balordo.
Betta uscì velocemente e riprese la sua strada; ma ormai aveva la conferma dei suoi dubbi. Decise che alla prima occasione sarebbe andata a Rapallo per avere notizie di Lorenzo. E l’occasione si presentò  quando Maria stava per sgravarsi.
Le donne consumarono il semplice pasto tra chiacchiere, ricordi e progetti, madre e figlia allegre, Betta assorta. Gianni era in mare e ci sarebbe rimasto per giorni.
Terminato il pranzo Betta sparecchiò, ripose il cavalletto, lavò piatti e stoviglie, poi chiese licenza di uscire. Aspirò profondamente l’aria fresca. Avrebbe bussato ad ogni uscio, chiesto ad ogni abitante del borgo, fino a quando avesse ottenuto una risposta soddisfacente, una notizia, un indizio che la portassero a Lorenzo. E così fece. Per giorni interi, sbrigate le faccende di casa, bussò a tutte le case, raggiunse anche i vicini borghi di Travello e Prelo, sempre con la stessa domanda sulle labbra. La risposta che riceveva invariabilmente era che al naufragio non era scampato nessuno.
Stava quasi per convincersi di essersi sbagliata, quando Maria entrò in travaglio. I dolori si protraevano ormai da quasi due giorni, e ancora niente. Accanto a lei Anna e Betta si alternavano; le tenevano la mano, le rinfrescavano la fronte con un panno imbevuto d’acqua fresca, cercavano di farle ingerire un po’ di brodo, le facevano coraggio. Anna cominciò a pregare la Santa della quale portava il nome, madre della Madonna e protettrice delle partorienti e mandò Betta a cercare Emma, una vecchia che abitava un po’ fuori dal borgo, in una casa isolata dalle altre, e aveva esperienza di parti difficili. Ella disse che il bambino si presentava podalico e che solo un miracolo avrebbe potuto salvare madre e figlio. E il miracolo avvenne: all’ultimo istante, spontaneamente, il bambino si girò, e poco dopo venne alla luce, un bel maschietto dall’aria sana e robusta nonostante quello che aveva passato. Era tempo: Maria era più di là che di qua. Mentre la poveretta riposava, le donne offrirono a Emma un poco di focaccia e dell’acqua. La vecchia era già sulla porta per andarsene quando, fissando Betta, le disse: “So che cerchi notizie della Santa Brigida. Un ragazzo riuscì a salvarsi, in verità. Disse di chiamarsi Lorenzo”.
Betta trasalì. “Lorenzo? Si è salvato? Perché nessuno mi ha detto la verità?”
“Sei sicura di volerla conoscere, la verità?” replicò la vecchia, come assorta.
“Certo!” esclamò Betta, con aria di sfida. Il peggio cui poteva pensare era che lui avesse incontrato un’altra donna e fosse rimasto con lei.
“Ti racconterò ciò che so, allora. Il Santa Brigida colò a picco con tutto il suo carico, ma qualche giorno dopo Lorenzo fu trovato, svenuto, sulla spiaggia. Era riuscito, lui solo, a sopravvivere aggrappandosi a un legno della nave. Lo trovò il chierico di San Michele Arcangelo e se lo portò a casa, con l’intenzione di tenerlo fino a quando si fosse ripreso. Aveva la febbre alta; lo tenne a riposo, lo nutrì e lo curò per diversi giorni; ma la febbre non passava. Al chierico Lorenzo disse che già da qualche tempo avvertiva un malessere in tutto il corpo, una fiacchezza, senza sapere a cosa attribuirli… Una mattina il chierico uscì per accorrere al capezzale di una delle anime a lui affidate, un vecchio contadino in fin di vita. Il ragazzo si sentiva un po’ meglio e si alzò; la febbre sembrava averlo lasciato. Attraversò il paese e me lo trovai davanti alla porta di casa. Doveva essere affamato, perché si avvicinò al paiolo nel quale avevo messo l’acqua a bollire. Non l’avevo mai visto e mi spaventai. Presi un forcone e mi avvicinai con aria minacciosa, intimandogli di andarsene. Sorpreso, lui arretrò e andò a sbattere contro il paiolo, che si mise a oscillare violentemente, rovesciandogli parte dell’acqua bollente sui piedi. Ma lui non ebbe alcuna reazione; sembrava non aver sentito nulla. Mi affrettai a raccontare al chierico l’accaduto.
Intanto la febbre era tornata. Il chierico chiamò il dottore, che gli fece delle domande e lo visitò, senza mai toccarlo, come ebbe a notare, stupito, lo stesso Lorenzo. Lamentava un dolore acuto alla gamba destra; il medico gli chiese di scoprirla e notò due macchie di colore rossastro, della grandezza di un’albicocca, l’una vicina all’altra. Uscì dicendo che sarebbe tornato presto con le medicine, poi stilò il suo rapporto che trasmise al Magistrato di Sanità. Non era passata un’ora che due robusti ceffi andarono a prenderlo per condurlo al lazzaretto, quell’edificio fuori dall’abitato di Rapallo a circa un’ora di cammino da qui, in direzione di Camogli. È stato costruito per iniziativa del nostro concittadino Giacomo d’Aste, dato il moltiplicarsi dei casi di lebbra da queste parti… i malati devono essere isolati, non si può correre il rischio di infettare la comunità.”
La ragazza fu costretta ad aggrapparsi all’uscio per non cadere.
“Tornatene a casa, ragazza, e dimentica questa brutta storia”   Emma concluse, andandosene.
Anna era rimasta per tutto quel tempo al capezzale della figlia e non aveva udito una sola parola.
Betta era sconvolta, ma decise che il giorno dopo sarebbe andata al lazzaretto. Voleva vederlo, parlargli, portargli conforto, dirgli che lo amava comunque egli fosse diventato. E poi, era impossibile che non ci fosse nulla da fare per lui. In fondo, i miracoli esistevano e lei ne era appena stata testimone.
Il mattino seguente si mise in cammino di buon’ora. Procedeva di lena; in breve raggiunse e superò l’abitato di Rapallo poi, con un po’ d’affanno, percorse la strada in salita sino alla deviazione per la Località Bana. A un certo punto scorse un edificio isolato in mezzo alla campagna, riconoscibile anche da un grande affresco sulla facciata che raffigurava, tra gli altri, San Lazzaro, con i segni della malattia sul corpo e il sonaglio usato dai lebbrosi per avvertire i sani del loro passaggio. Ebbe un tuffo al cuore, poi si sforzò di avvicinarsi. Fuori dall’ingresso, un enorme frate sbarrava la strada.
“Buongiorno, c’è qui un ragazzo di nome Lorenzo?” chiese Betta, facendosi coraggio. “Mi permettereste di vederlo?” aggiunse, con voce supplichevole.
L’uomo le rivolse uno sguardo pieno di dolcezza: “Nessuna persona sana, tranne me, può varcare questa soglia, né loro – e accennò all’edificio alle sue spalle – possono uscire di là.” Fece una breve pausa, poi riprese: “Il giorno che entrò qui dentro, Lorenzo mi fece promettere solennemente che, semmai qualcuno fosse venuto a cercarlo, per nessun motivo lo avrei fatto entrare. In particolare, disse, se si fosse trattato di una ragazza. Parlava di te, immagino…”
“Ma… Com’è potuto accadere…”
“Vuoi sapere come si è preso la malattia?” sospirò. “Continuava a ripetere che Dio l’aveva punito per i suoi peccati. La nave sulla quale avrebbe dovuto imbarcarsi sarebbe tornata con un modesto quantitativo di seta e stoffe pregiate, che sarebbe servito da copertura; ma il grosso del carico sarebbe stato di carne umana, schiavi tartari, russi e circassi destinati ai mercati spagnoli. Quando firmò il contratto non ne era a conoscenza, ma la sera prima della partenza venne a saperlo. Aveva premura di procurarsi i denari per il matrimonio e decise di imbarcarsi ugualmente. Quando la nave naufragò, si sentì colpevole per tutti quegli uomini e quelle donne periti nel naufragio, incatenati nella stiva senza nemmeno poter tentare la fuga… e a Kafà… si era sempre mantenuto fedele al vostro amore, suscitando la derisione degli altri uomini dell’equipaggio, ma proprio l’ultima sera prima della partenza lo condussero alla locanda di Elmira, figlia di un principe tartaro (e in verità il nome significa proprio “principessa”), ridotta in schiavitù, fuggita e divenuta prostituta molto richiesta, data la sua bellezza e le sue… doti. È stata sicuramente lei a infettarlo, lui ricordava una voglia rossastra sulla sua gamba sinistra, simile alle macchie che poi comparvero sulle sue. L’aveva accarezzata a lungo con tenerezza… La ragazza sapeva sicuramente di cosa si trattasse, e cercava di nasconderlo fino a che fosse   possibile per accumulare sempre più ricchezza con la quale comprarsi una vita non da reclusa, una volta che la malattia si fosse manifestata… Il denaro apre molte porte, a questo mondo.” Fece una breve pausa. “Quella sera Lorenzo era stanco e aveva bevuto in abbondanza. Non seppe resistere alle grazie della donna. Ma il suo amore per te è rimasto intatto.”
Il viso di Betta s’era indurito, poi si addolcì di nuovo.
“Ma almeno… vederlo…”
“Lorenzo vuol essere ricordato com’era. Perché non rispetti il suo desiderio? Perché vuoi essere così crudele da togliergli l’ultima speranza che ha, che tu non venga mai a sapere della sua sorte? Ma tu, ne hai mai visto uno, ragazzina? Hai mai visto uno di loro?” chiese l’uomo guardandola fissa negli occhi, quasi con ira.
“Io… ne ho solo sentito parlare” rispose lei, rendendosene conto solo in quel momento. “Ma non credere che mi io mi arrenda. Tornerò” concluse, vedendo che l’uomo era irremovibile.
La mattina seguente era di nuovo davanti al lazzaretto, più agguerrita che mai. La salita l’aveva stancata e si fermò poco distante, all’ombra di un albero, per riprendere fiato.
Fu allora che lo vide. Un uomo si stava avvicinando all’edificio; ma guardandolo meglio le parve che ben poco conservasse di umano. Il volto   enfiato, un buco al posto del naso, piaghe su tutto il corpo. Camminava a fatica appoggiandosi a una stampella; vide che gli mancava un piede. Il vento girò dalla sua parte portando verso di lei un lezzo insopportabile. Si voltò per vomitare.
Allora comprese. Comprese perché Lorenzo volesse che lo ricordassero com’era prima, perché non avesse mai dato notizie di sé, perché volesse rimanere nei pensieri di lei bello come il sole. Un lungo sguardo corse tra lei e il frate, accorso sulla soglia per accogliere il nuovo arrivato.
Quella che si presentò poco dopo a casa di Maria era una donna diversa.
Qualche giorno dopo, fece ritorno a Genova con Anna. A sua madre, che le chiese se lo avesse trovato, rispose soltanto: “Lorenzo è perito nel naufragio. Sono andata a pregare sulla sua tomba.”
NOTE
(1) San Michê = in ligure, San Michele di Pagana, oggi frazione di Rapallo
(2) Caruggetto = vicoletto angusto nelle città liguri
(3) Truogoli = lavatoi
(4) Bügaixa = lavandaia
(5) Mare Maius = il Mar Nero
(6) Cocca = bastimento medievale da trasporto con 3 coperte, 3 alberi e vele quadre
(7) Kafà = Caffa, importante colonia e punto nodale dei commerci genovesi sul Mar Nero
(8) Gazaria = toponimo che indicava le colonie genovesi in Crimea (1266-1475)

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Racconto partecipante alla dodicesima edizione di © Philobiblon (2017)

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