Aveva dedicato tutta la sua giovinezza alla ricerca della pietra filosofale. Il suo unico scopo era arricchirsi e godere appieno i piaceri della vita, ma nel tempo qualcosa mutò: le conoscenze conquistate affinarono il suo animo. Scoprì cure ed unguenti miracolosi, guarì gli uomini da qualunque malattia riuscendo dove la medicina galenica fallì miseramente. Cominciò così ad offrire il suo tempo alla ricerca del proprio Sé e del Divino, prendendo finalmente coscienza che la vera Pietra Filosofale è proprio questa, divenendo così un vero alchimista. Più il suo animo si purificava e più penetrava nei segreti della natura. Riuscì a produrre la Pietra Filosofale, ma a quel punto l’oro non gli interessava più, avendo capito che il vero Tesoro era di tutt’altra natura.
L’incontro con Paracelso gli aveva aperto un nuovo orizzonte: se l’uomo possiede la Scintilla Divina è anche capace di creare la vita.
Faust credeva che un giorno, tutti gli uomini sarebbero stati capaci di creare e l’umanità si sarebbe elevata avvicinandosi così a Dio. Non vi sarebbero più stati inquisitori, niente più roghi e niente più torture. Soprattutto niente più guerre.
Furono i quaranta giorni più lunghi della sua vita. Aveva seguito fedelmente gli scritti di Paracelso col quale aveva tenuto una fitta corrispondenza.
Lo vedeva adesso attraverso l’alambicco che iniziava a muoversi, trasparente ed impalpabile. Non era solito lasciarsi prendere dalle emozioni, ma i suoi occhi si inumidirono: aveva creato la vita.
Quaranta settimane trascorsero da quel giorno. Aveva nutrito quella creatura col proprio sangue, creato il calore necessario nel proprio laboratorio come quello del ventre di una madre. Una bella bambina adesso le appariva dentro l’alambicco.
Quella che voleva essere per Faust una conquista della conoscenza, poco per volta, si era trasformata in un atto d’amore. Aveva dato a quella creatura, tutto l’affetto che solo una madre che porta un bimbo in grembo poteva dare.
Il giovane Wagner arrivò quella mattina puntuale come sempre e la sorpresa fu grande nel vedere il suo maestro stringere quella creatura al petto. Non era tanto la bambina che lo stupì quanto l’espressione materna di Faust nel cullarla.
“È nata Wagner, è nata”.
“Avete dedicato la vostra vita alla Conoscenza e l’Universo ha realizzato il vostro sogno. Questa è la trasformazione che cercavate ed io sono orgoglioso di essere vostro discepolo!”
Faust gli mise una mano sulla spalla per ringraziarlo.
“Il vostro amore e la vostra umiltà hanno aperto un nuovo orizzonte al sapere umano. Forse stiamo vivendo in un’epoca sbagliata ed il tempo sotterrerà tutta la saggezza raccolta dai vostri studi e quelli di tutti i vostri pari, ma forse un giorno si riparlerà dell’homunculus, e nuove domande l’uomo si porrà”.
Wagner tese le braccia come per chiedere di poter tenere lui la bambina e Faust gliela porse.
“Che cosa farete adesso?”
“La crescerò, la istruirò…l’amerò”.
La chiamò Margherita. Le fece da padre e madre nello stesso tempo, aiutato da Wagner che contribuiva alla sua istruzione.
La conoscenza e la saggezza di Faust erano conosciute in tutte le corti d’Europa e tutti i potenti lo accoglievano. Portava sempre Margherita con sé, la presentava come sua figlia e riusciva sempre ad eludere qualche domanda imbarazzante.
Margherita stava spesso in compagnia di altre dame e grazie all’istruzione ed all’educazione impartita da Faust aveva una piacevole conversazione e la sua compagnia era gradevole, però man mano che cresceva, Faust notava qualcosa di strano dentro di lei ed una leggera sofferenza. Il suo viso era perennemente statico, non esprimeva stati d’animo, anzi si rese conto che sua figlia ne era priva. Un giorno Margherita chiese:
“Padre, ho studiato letteratura, medicina, arte delle erbe, poesia. Spesso ricorrono parole che io non comprendo: felicità, amore… sentire. Cosa significa sentire, oltre che udire?”
Faust era pronto a rispondere a qualunque domanda, ma di fronte a quella restò ammutolito.
“Rispondimi padre, ti prego”.
Faust prese una mela.
“Mangiala e descrivimi cosa provi”.
“È dolce”.
“Cosa ancora?”.
“È farinosa”.
“Cosa ancora?”
“È succosa”.
“Cosa ancora?”
“Non so più, padre!”
“Anche la pera è dolce e succosa eppure quando la mangi ti rendi conto che il suo sapore è ben diverso da quello della mela”.
“È vero padre, ma non capisco dove tu voglia giungere”
“Significa che solo mangiando la mela tu ne percepisci il suo sapore e sai distinguerla dagli altri frutti che sono anch’essi dolci. Dolce è una parola che serve solo a distinguere dal salato, ma sono i tuoi sensi che ti danno la vera coscienza e conoscenza dei sapori e degli odori. Fra l’altro ciascuno di noi ha un diverso modo di percepire i sapori o gli odori. Ci sono persone che hanno disgusto per il dolce e persone che amano il salato”.
S’interruppe, ma poi riprese.
“Lo stesso è per la felicità e l’amore. Si possono descrivere con le parole, ma non ne avrai mai la coscienza se non le senti dentro la tua anima. Amore è quello che io provo per te, perché sono tuo padre. Riesci tu a descrivere quello che provi per me o per Wagner?”
Margherita restò in silenzio cercando qualcosa che non riusciva a provare.
“Padre io non sento nulla”.
Faust rimase inorridito per ciò che aveva appreso o che forse aveva voluto ignorare in tutti quegli anni. Margherita era arrivata fino a sedici anni senza sentire alcun sentimento come amore o pietà, tristezza e persino odio e rancore. Non poteva sentirli con la sua anima solo perché non l’aveva.
Faceva male a Faust sapere che sua figlia non poteva provare né gioie, né dolori.
In tutti quegli anni Margherita si era ammalata, ma soffriva solo fisicamente per le malattie, provava dolore solo, quando si feriva per qualche caduta.
Spesso con Wagner giocavano a rincorrersi, ma mai un sorriso di vera gioia. La spiccata intelligenza di cui era dotata serviva solo ad accumulare conoscenze ed a fare dei sottili ragionamenti, ma non provava nulla di fronte alla vita che poteva esprimere una pianta che cresce, non avrebbe mai compreso in pieno le leggi del divenire o del ritmo espresse, ad esempio, dal sorgere e dal tramontare del sole. Non avrebbe mai compreso con l’emozione il mutare delle stagioni. Cos’era per lei un cielo stellato? Una farfalla che vola intorno ad un fiore? Il primo giorno di Primavera?
“Oh Dio, cos’ho fatto? Nel mio egocentrismo ho messo al mondo un mostro. Cosa ne è adesso di lei? Come vivrà senza sentimenti? Come vivrà senza emozioni, che sono il pane della vita?”
Affranto Faust scese nel suo laboratorio e cominciò a consultare i testi più antichi che aveva, in cerca di una soluzione per sua figlia.
“Un’anima, devo darle un’anima!”
Affidò Margherita a Wagner e cominciò a viaggiare in cerca di altri iniziati.
Incontrò Amatus Lusitanus che aveva anch’egli ottenuto risultati simili.
“Sapevo di poterlo fare, ma poi desistetti da quest’intento per paura. Evidentemente l’anima non passa dall’uomo attraverso lo sperma, ma è il ventre materno che la accetta. Questo abbatte completamente l’idea che le donne non hanno anima”
“Non ho mai creduto a questa fandonia! Ma ritorniamo al mio dilemma: come faccio a donare un’anima a mia figlia?”
“Come fai a volatilizzare l’acqua?”
“Riscaldandola”.
“E come ottieni l’acqua?”
“Dal raffreddamento del vapore”.
“Ma se non hai l’acqua come fai?”
“La prendo alla fonte”.
“E l’acqua della fonte come arriva?”
“Dalle piogge”.
“Quindi non puoi ottenere l’acqua se non hai la sostanza volatilizzata, e non puoi ottenere la sostanza volatilizzata senza l’acqua”.
“Dove vuoi giungere?”
“È uguale per l’anima. Essa si trasforma, si purifica nel corso della vita com'è accaduto a noi. Si purifica attraverso più vite, ma non possiamo crearla”.
“Gran Dio è vero! Siamo Creatori, ma non possiamo creare qualcosa che esiste già. Non possiamo creare Dio che è dentro di noi. È Egli stesso la nostra anima!”
Faust si sentì sconfitto. Aveva condannato sua figlia alla sofferenza.
“Abbiamo la Divinità, ma non creiamo, trasformiamo! Ho creato una figlia, ma non ho fatto altro che trasformare materia, come ho fatto con la Pietra Filosofale e adesso non sono capace di donarle un’anima”.
Faust tornò sconfitto alla sua città e durante la notte non fece altro che pregare. Si appellava a quella sua parte divina cercando una connessione con L’Altissimo. Voleva ammettere il suo errore e chiedere direttamente a Lui di aiutarlo, era disposto a qualunque sacrificio.
“Signore, ascoltami”.
Non fece altro che ripetere.
“Sono qui”.
Si sentì rispondere.
“Ma tu sei…”
“Sono Io che ti parlo”.
“Signore, aiutami. Tu conosci le sofferenze di mia figlia. Non fare che lei soffra per un mio errore e che le mie colpe ricadano su di lei. Scaglia contro di me tutti i mali che ho commesso per la mia stoltezza, ma salva mia figlia”.
“Io ho creato un Universo secondo le leggi che tu sai. Io vi ho dato il libero arbitrio e per questo non ho potuto impedire a te l’errore. Non posso aiutarti perché andrei contro le leggi che io stesso ho creato”.
“Ma tu sei…”
“No figlio mio. La libertà assoluta che io stesso vi ho donato l'ho tolta a Me. Voi uomini siete liberi di scegliere il Bene ed il Male, ma io no. Io non sono libero. Io posso, ma non devo!”
“Cosa ne sarà di Margherita? Sarà condannata ad una morte senza ritorno per la mia stoltezza? Sarà costretta a vivere senza amore? Se la sua non è una vita la uccido. Se non ha anima non è neanche un delitto e non creo alcuno squilibrio con la natura!”
Faust brandì un pugnale.
“Fermati Faust!”
Il Signore era commosso da tanto amore e così gli propose un patto.
“Io non posso darle un’anima, ma tu sì”
“Non comprendo Signore”.
“Sei disposto a darle la tua anima?”
“Sì, Signore”.
“Bada Faust, dandole la tua anima, vivrai tu senza sentimenti e amore. La tua conoscenza sarà vana e sarai tu, condannato, quando sarai vecchio, ad una morte senza ritorno”.
“Oh Signore tu mi stai facendo il dono più bello che io potessi mai sperare. Mi fai rinascere nel corpo che io stesso ho creato. Divento creatore di me stesso. Accogli però una mia preghiera”.
“Ti ascolto”.
“Ho amato e rispettato il mio corpo. Al momento del trapasso, fai morire Faust affinché non soffra per la mancanza dell’amore verso sua figlia e per l’Universo che Tu hai creato. Ti prego! Dai a Faust una morte onorevole”.
“E Sia!”
A poco a poco Faust iniziò ad accasciarsi finché cadde per terra completamente privo di vita.
Margherita che entrò in quel momento, lo vide cadere a terra. Corse verso di lui abbracciando il corpo morto.
“Padre, Padre non puoi lasciarmi, non puoi. Signore perché gli hai fatto questo?”
Urlava tra le lacrime.
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Racconto di Alessandro Scardaci partecipante alla terza edizione di © Philobiblon (2008)
Racconto di Alessandro Scardaci partecipante alla terza edizione di © Philobiblon (2008)
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