Spalancò gli occhi, terrorizzato.
La vista era ancora annebbiata, non gli
permetteva di distinguere i contorni delle scure figure che
lo circondavano, muovendosi e ondeggiando, protendendo le mani verso di lui.
"Sono
all'inferno, la mia anima è persa per sempre!"
La febbre, dovuta all'infezione, lo fece
fortunatamente ricadere in una oscurità assoluta, senza suoni
e sensazioni.
"Cosa
ne pensi medico?"
La voce profonda del supremo comandante
dell'esercito dell'Islam Yusuf Ibn Ayub Salah-al-Din chiamato Saladino in
occidente, fece sussultare come al solito, il povero medico.
"La freccia è stata tolta, la ferita
cauterizzata...non resta che aspettare che la fibra forte di questo
cristiano vinca la morte, domani all'alba saprò se..."
"E
non mi chiedi, fido amico, perché ti ho fatto curare un crociato?"
"Allah
è grande, Allah percorre sentieri misteriosi e voi, illuminato da Allah,
avrete..."
"Le mie ragioni? Sì e a te solo, bada,
voglio raccontarle ma che non una parola esca dalle tue labbra,
altrimenti..."
Il medico annuì, spaventato e sudato; ne
avrebbe fatto a meno delle sue confidenze, ma invitato a sedere
nella magnifica tenda del suo signore di fronte a lui, pregò dentro di sé Allah
che lo aiutasse a finire in bellezza quella strana giornata.
Dal buio Sébastien emerse a poco a poco:
davanti a lui barlumi di luce cominciarono a brillare; gli sembrava di
percorrere, da solo, un oscuro tunnel, alla fine del quale c'era una brillante
nebbia luminosa.
Rivide sua madre che lo chiamava a sé, gli
tendeva le braccia per abbracciarlo, come faceva da bambino.
II viso
delicato della madre, morta per polmonite quando lui aveva solo tredici anni.
Nel delirio, la madre di Sébastien ora lo
respingeva indietro, dolcemente ma con determinazione.
Le
sue labbra era ferme, ma la voce era nitida.
"Torna,
figlio mio, torna indietro, non è ancora tempo per te di vedere il
paradiso..."
"Perché
parla e si lamenta in codesto modo medico?"
"Il
corpo sta combattendo la morte, lo spirito è sulla soglia di..."
Saladino
come al solito, lo interruppe.
"Vedi, questo cristiano rispecchia un
sogno che ho fatto dopo la presa di Gerusalemme.
Tu credi nei sogni, Abdul?"
"Alcuni profetici li manda Allah agli
eletti, ma perlopiù è il riempire la sera troppo il ventre che..."
Scoppiò
a ridere fragorosamente, il temuto Saladino.
"Hai ragione, ma questo vedi è stato
uno strano sogno, nessuno dei miei saggi ha saputo
spiegarlo.
Ma bevi, bevi ancora con me questa menta è
deliziosa."
"Ero
in uno strano luogo" riprese il Saladino dopo una lunga pausa, il volto
assorto.
"Alte montagne, quali mai ho visto nei
miei viaggi mi apparvero, verdi valli percorse da torrenti copiosi
d'acqua.
Una grande oasi messa da Allah dall'alto in
basso, e poi mi ritrovai in cima, vicino al sole che bruciava,
più forte che nei nostri deserti.
Camminavo su una sabbia bianca, gelida come
le nostri notti, quando non bastano mai le pelli per coprirci dal
freddo..."
"Sabbia gelata?
sabbia bianca?
Povero
Salah-al-Din che sogno è mai questo?" pensava il povero Abdul, ma tacque.
"Mi
ascolti?" lo interruppe il sovrano. "Perdonatemi!"
"Poi
dall'alto - continuò Saladino - piombò un uccello maestoso, dall'occhio di
fuoco che mi impose di guardare l'orizzonte.
Non scorsi nulla dapprima, poi... un punto
lontano diventò la figura di un giovane guerriero, lo sguardo fiero, la spada
sguainata.
"Salah-al-Din!" disse una voce
potente!
Ricordati, quest'uomo salverà due re,
rendigli giustizia!
Mi ritrovai tremante su quella sabbia gelata
e poi mi destai..."
Nel
delirio, sognava ancora Sébastien.
Duellava
nella sala d'armi con suo fratellastro Roland quella sera di fine luglio.
Il loro padre, Pierre de la Croix aveva
avuto Roland dal primo matrimonio, ma la moglie era morta
mettendolo alla luce.
Si era poi risposato, ma anche la seconda
moglie, madre di Sébastien avrebbe lasciato presto questo
mondo, con suo grande dolore di tutti.
Roland, essendo il primogenito, avrebbe
ereditato per la legge del maggiorasco, tutti i beni della
famiglia.
Molto forte era il legame affettivo tra i due
ragazzi; Roland, orfano di madre, aveva istintivamente preso sotto
la sua ala protettrice Sébastien, più piccolo di lui di cinque anni, comprendendo
a pieno il suo stato d'animo nel momento del distacco dalla madre.
Il
padre dei ragazzi li vedeva crescere uniti e pensava alla diversità di
carattere tra i due.
Bruno e tarchiato il maggiore, di poche
parole, biondo e snello il minore, sempre mobile ed irrequieto, capriccioso da
bambino e avventuroso poi, e sempre a caccia di ragazze che del resto, l'adoravano.
Quando anche per lui arrivò il momento, si
spense serenamente, raccomandando ai suoi figli di tenere sempre
testa al Duca de la Salle; da lustri cercava di annettersi la valle dei De la
Croix, appoggiato da potenti amici alla corte reale.
"Hai
proprio deciso, Sébastien, vuoi proprio partire per questa crociata?"
"Attento, fratello stai scoprendo la
destra!"
Sì ho deciso, tutti i miei amici cadetti
partono per questa giusta causa, liberare Gerusalemme dall'infedele, conquistare la gloria, l'onore,
la..."
Con un balzo improvviso, Roland eseguì un
affondo ed Agustin, il maestro d'armi, dichiarò finito il duello.
"Ma
non è giusto, fratello, voglio la rivincita!"
Roland sorrise, pensando che a diciotto anni
e mezzo e in procinto di essere investito cavaliere, Sébastien non
voleva saperne di perdere.
Si tolsero l'armatura leggera di
allenamento. "Vieni, Sébastien, parliamone." insistette
Roland.
Fu tutto inutile: il ragazzo scalpitava e
Roland invano cercò di spiegargli che molti di quelli che partivano, erano intenzionati
a razziare piuttosto che
liberare il santo sepolcro di Cristo.
Sébastien essendo stato educato con ideali
cavaliereschi, non poteva credere che una santa crociata in cui
interveniva il re di Francia, non potesse essere un'avventura meravigliosa.
Partì dopo un mese, affidando a Roland il
falco pellegrino che suo fratello gli aveva regalato per
il suo diciottesimo compleanno.
"Io non ci capisco niente ed ho anche
fame!" pensava Abdul.
"Cosa ne pensi Abdul, del mio strano
delirio?"
"Mah, è forse mandato da Allah..."
Salah-al-Din che conosceva bene il suo
fedele medico, battè le mani e da dietro una spessa tenda,
apparvero vassoi di vivande portate da tre ragazze velate.
"Tu hai fame, Abdul ti conosco, non
ragioni se non mangi; io intanto proseguo a narrarti questa strana storia del
cristiano."
"Dunque, mi dimentico nel tempo del
sogno che pure mi aveva perseguitato per mesi e siamo alla battaglia di ieri.
Ti ricordi tutto della battaglia,
amico?"
"Gloriosa
battaglia, Allah..."
Con in bocca un grosso boccone di agnello
arrostito, era difficile declamare di più e Salah-al-Din proseguì,
condiscendente.
"Tutti
dicono di me che sono giusto e misericordioso, ma spietato con gli infedeli.
Sai che di rado ormai partecipo alla
battaglia di persona, i miei scaltri consiglieri mi vogliono bardato
da re sul mio cavallo a sovrastare." sogghignò Saladino.
"Tu mi conosci più di chiunque altro,
sai quale fuoco arda ancora dentro di me." "Allah vi ha
concesso di vivere in forza, ma dovreste ora..."
"Cosa devo fare, lo so!
Allora, l'esercito cristiano era schierato
fuori le porte della fortezza.
Io, vestito della stessa armatura dei miei
guerrieri scelti, ho voluto provare se le mie forze
fossero ancora quelle di un tempo.
Ho
portato solo la mia fida scimitarra, da lei non mi separo mai."
Un
dolore acuto fece risvegliare Sébastien.
Dove
si trovava?
La vista, di poco migliorata, gli fece
scorgere l'interno di una grotta, forse una tenda e due figure
avvolte in bianchi barracani nel fondo.
Abdul si accorse del suo risveglio per
primo.
"Dove, dove sono?" chiese
Sébastien.
"Cristiano, ringrazia Allah di essere
vivo e bevi questo, subito!"
Anche Salah-sl-Din si era avvicinato.
"Sono prigioniero?"
Gli
occhi di Sébastien, azzurri come il mare, erano pieni di fierezza.
Salah-al-Din guardandolo, pensò alle sue due
fìglie, dagli occhi scuri come la pece. Allah gli avrebbe mai dato
un figlio maschio?
"Ospite, cristiano, sei ospite." "E di chi?"
Ma la potente pozione sedativa che Abdul gli
aveva propinato lo fece ripiombare nel sonno ancora una volta.
Nella
valle dei De la Croix, tutti sentivano la mancanza di Sébastien.
Roland si era deciso a sposarsi, ma il suo
matrimonio non era stato per amore, piuttosto per assicurare
un discendente alla famiglia.
Si
accorse ben presto però, che la moglie Sophie era dispotica ed arrivista.
Quando nacque Jacques, Sophie si addolcì,
sperando per suo figlio un futuro luminoso, magari nella capitale.
Era passato un anno dalla partenza di
Sébastien di cui lei aveva sentito così tanto parlare con ammirazione e di cui
inconsciamente era gelosa.
Voleva essere il centro delle attenzioni di
Roland, il quale pensava continuamente a suo fratello, soffrendo
per la mancanza di notizie dalla Terra Santa.
Quella settimana, gli avevano portato il
falco pellegrino di Sébastien, ferito ad un'ala durante una battuta di caccia.
L'aveva preso come un triste presagio e
aiutato dallo speziale del convento, l'aveva curato con grande apprensione,
quasi fosse Sébastien stesso.
Era immerso nella polvere Sébastien, mentre
continuavano le visioni del suo passato.
Il sangue, il sudore, l'odore della morte,
tutto quello che alla partenza non avrebbe mai immaginato essere
possibile, era reale, davanti ai suoi occhi.
Era un valoroso e coraggioso crociato;
l'esperienza, oltre all'ottimo allenamento fatto da ragazzo
con il suo maestro d'armi, lo aveva temprato in poco tempo.
Il re di Francia difatti, poco avvezzo ad
esporsi, l'aveva voluto a combattere tra la sua guardia personale.
Quel giorno la battaglia si era fatta sempre
più cruenta, incerta.
Era tutto un portarsi avanti ed arretrare tra
le due fazioni.
La croce rossa di Cristo sventolava alta e la
mezzaluna nera la contrastava.
Molti cavalli dei crociati erano stati
azzoppati o colpiti da frecce, il corpo a corpo si stava trasformando in un
massacro.
Stille
di sudore rigavano la fronte e mondavano gli occhi di Sébastien.
Fendeva sicuro con la sua spada i corpi dei
nemici, poi d'improvviso qualcosa lo fece voltare: accanto
a lui, il re di Francia, appiedato e stanco, stava per essere colpito alla
testa da una scimitarra nemica.
Lesto, tirò fuori un pugnale da lancio, lo
lanciò trafiggendo la mano del musulmano. Era sempre stato il migliore nelle
gare di lancio del pugnale nella sua valle. Il re ebbe tempo di
arretrare, sapendo chi l'aveva salvato.
"Abdul, allora sopravviverà?"
"Pare
di sì, quel cane di un cristiano,"
"Quel cane, Abdul, ha impedito che un
altro cristiano mi colpisse alle spalle.
In cambio, ha ricevuto una freccia dei nostri
arcieri, i migliori del mondo, nell'incavo
dell'omero, ove le loro armature hanno un
punto vulnerabile."
Era
ormai l'alba, la febbre stava scendendo, il respiro di Sébastien si era fatto
più regolare.
Gli
sembrava ora, di combattere ancora.
Ritiratosi il re, la battaglia proseguiva
ancora, ma era chiaro che la sconfitta dei cristiani fosse imminente.
Al tramonto, tutto sarebbe finito e forse
sarebbe stato possibile raccogliere i corpi. Una profonda tristezza lo aveva
preso, ma combatteva ancora.
Di fronte a lui, un vecchio soldato musulmano
si batteva come un lcone, con la scimitarra più bella che avesse
mai visto, spada da re.
Era prostrato il vecchio, non si accorse che
dietro le sue spalle, un crociato lo stava per trafiggere.
"No,
non così, per amore di Cristo, no!"gridò Sébastien.
Gli usi della cavalleria, non consentivano
di colpire alle spalle. Sébastien era un cavaliere d'onore, oltre ad essere un
crociato.
Tanto bastò perché la guardia personale di
Salh-al-Din, messa in allarme dal grido di Sébastien, intervenisse.
Il crociato fu giustiziato all'istante e il
vecchio fu portato via, ma Sébastien non fece in tempo a
comprendere la situazione.
Una freccia avvelenata gli aveva fatto
perdere i sensi, dopo pochi secondi Salah-al-Din impartì ordini
secchi, lasciando stupefatti i suoi.
Lo avevano portato via, per farlo curare.
Abdul aveva ascoltato lo stesso episodio che
il crociato stava rivivendo nel sogno, raccontato dal
suo sovrano.
Era solo un medico, ma non possedeva una
mente illuminata, pensò solo che Allah era stato magnanimo con entrambi.
Arrivò
l'alba, Sébastien superò il peggio.
Fu
trattenuto fino a ristabilirsi completamente.
Molti e segreti furono i discorsi tra lui e
Salah-al-Din che s'interessava di matematica e di astrologia
e di cui Sébastien aveva una vaga conoscenza.
Persino
Abdul fu escluso da quegli incontri.
Volle sapere usi e costumi della Francia, ma
volutamente nessuno dei due parlò di armi ed attrezzature
militari.
C'erano
le spie per quello.
Quando fu il momento, Salah-al-Din gli fece
dono di un cavallo delle sue scuderie e Sébastien promise
di fargli avere in qualche modo, uno dei famosi falchi pellegrini della sua
valle.
"Ragazzo, perché sei venuto a
Gerusalemme?" gli chiese Salah-al-Din all'ultimo istante.
"Per liberare il santo sepolcro dagli
infedeli!" rispose Sébastien sorridendo.
Fremettero i dignitari, mettendo mano alle
armi.
"Fermi!"
"Anche noi, Sébastien, anche noi siamo
qui per lo stesso motivo! Possano i nostri popoli comprendersi un
giorno.."
Abdul assistendo alla scena, continuava a non
capire cosa avesse di speciale questo cristiano, ma si ripeteva,
Allah percorre vie oscure all'uomo.
II falco pellegrino si era ripreso, l'ala
era guarita, ma nonostante gli sforzi di Roland e del capocaccia
non ne voleva sapere di volare.
"Testardo come mio fratello, uguale!"
pensava Roland che di nascosto di sua moglie Sophie, parlava
a Jacques dello zio partito per la crociata, forte e valoroso.
Il bambino era molto intelligente, già
parlava bene e si mostrava ardito, come tutti i De la Croix.
Quel
giorno, sulla torre del castello, scrutavano assieme l'orizzonte.
Il duca de la Salle, nemico della famiglia
era perito per un pasto abbondante di funghi, di cui era
ghiotto.
Alcuni parlarono di veleno, ma erano così
tanti i suoi nemici che chiunque avrebbe potuto farlo.
Morto
senza eredi, il ducato era tornato per legge sotto la tutela della corona.
Un
grande pericolo si era eliminato da solo e Roland aveva tirato un sospiro di
sollievo.
Qualcuno
lo chiamò dal cortile del castello. "Mio signore, mio signore!"
Prese
in braccio il piccolo e scese.
Un messaggero del vicino feudo di Belleville
gli portò un messaggio.
Il re di Francia con altri crociati, ritornava in patria.
Sul suo trespolo, senza che nessuno lo
vedesse, il falco di Sèbastien che nessuno legava più, allargò
le splendide ali ed abbozzò un breve volo.
Passò ancora un mese: voci da Marsiglia e
Lione arrivarono, parlavano di un ritorno dei francesi, poi furono solo piccoli
drappelli ad arrivare.
Roland
festeggiò il ritorno di amici crociati che erano finalmente tornati, pochi per
il vero.
Il suo cuore era gonfio di tristezza, di suo
fratello nessuno sapeva qualcosa e persino sua moglie si era commossa, ed era
andata a pregare più volte nella cappella del castello per impetrare
la grazia della Vergine Maria.
Quel giorno di settembre, già le cime delle
Alpi erano imbiancate di neve, ma il sole era ancora caldo.
Roland pensò di far prendere un po' d'aria a
Jacques, si fece preparare il cavallo e lo montò con lui.
Il
portone gli fu spalancato ed il desto cavallo si mosse tranquillo, agli ordini
del suo padrone.
Non fece in tempo a percorrere pochi metri
che dagli spalti del castello si lanciò nel vuoto una freccia
alata dalle stupende ali distese.
"Padre,
padre è il falco dello zio!"
Roland si girò di scatto: era proprio lui,
forse aveva scelto la libertà, forse aveva dimenticato il suo
antico padrone.
Il volo in tondo, sembrava non finire mai,
poi di colpo ed in picchiata si diresse verso la piccola cappella
sul sentiero, là dove i contadini pregavano prima del lavoro.
Si fermò a terra, ai piedi di un giovane uomo
a cavallo fermo davanti all'immagine dell'edicola, nascosto alla vista fino a
quel momento dagli alberi del sentiero.
Il
bimbo non ebbe dubbi: "Zio Sèbastien?"
Non
bastarono i giorni e le notti ed i banchetti per farsi raccontare tutto da
Sébastien che fu al centro dell'attenzione di tutti per giorni e
giorni.
Persino
la cognata lo prese a benvolere, perché non lo percepiva più come un pericolo
reale.
Una sera però, guardando Sébastien negli
occhi Roland capì era sì un uomo fatto, ma provato e
stanco, senza illusioni sul proprio futuro.
"Cosa
pensi di fare ora, fratello mio?"
"I
fratelli cadetti o ripartono in guerra o si mettono al servizio del re.
Ho
visto troppo sangue, Roland, troppi morti, non so cosa fare della mia vita,
fratello."
"Non
dire così fratello mio, abbi fiducia."
A fargli fare qualcosa, ci pensò il re di
Francia, che tra tanti cortigiani bramosi di potere, donò
il ducato de la Salle all'unico nobile che non l'avesse richiesto dopo la
crociata e per di più quello gli aveva salvato la vita in
Terra Santa.
Aveva
bisogno di alleati sulle Alpi, era in lotta con il re d'Inghilterra e mise
tutti a tacere.
Prima della cerimonia di investitura, Roland,
Sébastien e Jacques si erano riuniti per la vestizione nella sala d'armi.
Sébastien ancora dolente alla spalla destra
colpita dal dardo, fu aiutato da suo fratello Roland ad indossare l'armatura
d'onore richiesta dal cerimoniale.
"Mio signore mio duca, ora che siete più
vicino agli occhi del re, dovremo inchinarci al vostro cospetto?"
chiese scherzosamente Roland al fratello.
"Vedremo
conte, vedremo.
Aspetta
che mi guarisca la spalla e poi ti sfido a duello. Ho una rivincita,
ricordi?"
Risero
copiosamente i due fratelli, finalmente insieme.
Jacques era estasiato e nel suo cuore
conservò per sempre le immagini del padre e dello zio, e di quel giorno
speciale.
Sotto la tenda, a miglia di distanza,
fremeva Salah-al-Din.
Fatima
la sua terza moglie stava partorendo, senza troppo lamentarsi.
Abdul
gli era accanto, ma non poteva assistere.
La
donna più anziana ed esperta dell'harem fungeva da levatrice.
Ci
fu un profondo silenzio e poi un acuto vagito.
Salah-al-Din
invecchiato, sembrava un padre ansioso alle prime armi.
"È
un maschio!", gli disse l'anziana donna, porgendogli un fagottino urlante.
"Allah
è grande!" commentò Abdul, tanto per non sbagliare.
La sua mente corse subito a tutte le portate
prelibate che non sarebbero mancate ai banchetti offerti dal suo
generoso signore e amico.
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Racconto partecipante alla settima edizione di © Philobiblon (2010)
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