martedì 3 febbraio 2009

Le lai dam Iset (di Francesca Righetti)


Assai mi piace e ben lo voglio

non di quel lai del Caprifoglio[2]

ma d'un altro ormai scordato

c'hanno i Bretoni obliato,

narrarvi e dirvi la natura

come racconta l'avventura[3].

Di dama Isotta il lai vi canto

che per amore soffrì tanto

lei lo fece e lo inviò

a Tristano che un tempo amò...

Ti scrivo seduta allo scrittoio della mia camera nuziale.

Marco non è ancora rientrato dalla caccia ed è quasi sera, una sera pallida e delicata che scende soffusa a cullare la Cornovaglia, e la fa rassomigliare alle terre d'Irlanda, così lontane.

Alla luce della sera, come in un limbo, tutti i luoghi si confondono e si assomigliano di più.

La Cornovaglia che conobbi già ragazza, dove tu mi portasti per sposare un uomo mai visto, e l'Irlanda a cui mi strappasti, terra della mia infanzia, di giorni felici e spensierati nei quali l'amore non era che un desiderio e il dolore solo una nuvola nel cielo estivo, hanno lo stesso volto in questa sera d'autunno, si sovrappongono nella mia mente e io non so più riconoscere, tra i ricordi, cosa appartiene all'una e cosa all'altra.

Così forse brilla della stessa luce la Bretagna dove consumi il tuo esilio, sposato a una donna che non ami e a cui non ti vuoi concedere, una donna dalle mani bianche che porta il mio stesso nome e ti ama d'un amore forse più vero del mio.

Tre terre che racchiudono la nostra storia e il nostro destino, come conchiglie.

Ma oggi, Tristano, oggi sono stanca di parlare di destino.

Oggi voglio stringere tra le mani la mia vita come posso stringere questa penna e decidere cosa scrivere.

Ero una bambina quando ti incontrai per la prima volta, tu, l'eroe che aveva sconfitto e ucciso il Moroldo, fratello di mio padre, tu, il cavaliere perfetto, dalla bellezza divina...no Tristano, non mi ispirasti alcuna simpatia, allora. Perché avresti dovuto?

Arrivasti ferito, ma eri superbo ed altero, tronfio della tua perfezione.

E mi guardasti come tutti mi guardavano, colmo di desiderio, traboccante di voglia. Non avevi mai visto una donna più bella e ti folgorò il pensiero che io sola sarei stata degna di te.

Non me ne preoccupai molto. Eri soltanto uno tra i tanti. Più bello forse. Più galante. Più forte. Ma in fondo solo l'ennesimo spasimante alla corte di Elena. Aspettavo ancora il mio Menelao. Aspettavo qualcuno che giungesse inaspettato, umilmente e senza clamore, che mi amasse d'un amore dolce, che scrivesse per me una favola e mi accompagnasse per mano a conoscerla.

Non volevo cavalieri.

Non volevo eroi.

Isotta, principessa d'Irlanda, maga e guaritrice, voleva allora soltanto un uomo.

Sposerai il re di Cornovaglia, mi disse mia madre.

Così finirono dei sogni, finirono le speranze bruscamente ricondotte alla gravità dei miei principeschi doveri.

Mi imbarcai con te su quella nave, il filtro che conoscendomi troppo bene mia madre aveva preparato per farmi innamorare di Marco lo bevemmo noi, mentre giocando a scacchi ci stavamo sfidando e studiando l'un l'altra, e il resto, nostro malgrado, è storia nota.

E' la storia del terribile errore che commisi sacrificando Brangania, la sola amica che avessi, alla mia felicità...ed ebbe bene il diritto di odiarmi! Oh se potessi averla accanto, adesso, che mai un'ancella più fedele e più nobile è vissuta!

E' la storia della nostra follia, dei nostri inganni, degli infiniti stratagemmi che inventammo.

Da allora non ho più rivisto l'Irlanda.

Da allora sono cresciuta.

Quella passione ci ha consumato e mi ha cambiato.

Ho lasciato tutto per seguire te, per vivere nel peccato e nella povertà. Io, spergiura come sempre, alla fede data ho presto fatto ingiuria, prigioniera della mia malafede, un vizio antico, mi disse Brangania offesa e tradita.

Aveva ragione.

Tu, Tristano, mi hai strappato ai miei cari, alla mia terra, ma nulla mi importava al di fuori di te.

Bel dolce amico, ti chiamavo allora, mio signore.

Ma quando l'effetto del filtro dopo tre anni è finito, quando sono tornata padrona di me stessa e mi sono trovata sporca e mal vestita in una foresta popolata di belve, allora, improvvisamente, ho capito.

Tu eri ancora quello che mi aveva portato via dall'Irlanda, eri ancora il cavaliere perfetto che tutti ammiravano, a cui i ragazzi volevano assomigliare.

Tristano che aveva osato sfidare il re. Tristano che aveva sconfitto tutti, per amore. Tristano, braccato come un animale, perseguitato...Eri un ramingo, un fuggiasco, ma ancora un eroe.

Mentre io, io non ero più nessuno. La mia bellezza si era consumata nelle privazioni quotidiane, le mie mani si erano rovinate, il mio cervello così acuto e pronto, che aveva saputo ingannare persino Dio, si era irrigidito nella mancanza di stimoli.

Tu cacciavi tendendo l'arco che-non-fallisce[4], io ti attendevo nell'ozio e la mia vita si consumava nello spettro di un'abulia quotidiana e terribile.

Il silenzio mi divorava come una malattia e tu mi privasti persino della voce d'Husdent. Ci farà scoprire, dicesti, non abbiamo alcun bisogno di un cane. Ma era il tuo cane, quello, il tuo cane fedele che ti amava, e tu non capivi, non capivi il mio bisogno di compagnia. Non ucciderlo, ti supplicai. A patto che taccia, dicesti. E tacque. Si, tacque. Perché Tristano, il perfetto, sa piegare al suo volere persino la natura.

E la gente parlava di me. Isotta...Isotta, la traditrice. Isotta falsa e bugiarda, una meretrice.

Le loro voci giungevano alle mie orecchie come presagi, come profezie d’un futuro di disperazione.

Ebbi paura, paura di vedere la mia vita sfiorirmi lentamente tra le mani, di incontrare la vecchiaia e di sorprendermi ancora in quella desolata apatia. Tu non mi bastasti più.

Ero regina, pensai, ma ho perduto quel nome per una pozione bevuta in mare.

Voglio tornare, ti dissi.

Forse tu non capisti. Mi assecondasti, ma forse non capisti davvero.

Come avresti potuto, Tristano? Sentimenti così umani e meschini non ti sono mai appartenuti, in ben altri cieli volano da sempre il tuo cuore e il tuo spirito.

Marco mi riaccolse come una regina e mi restituì tutto, compreso il suo amore. Amica cara, mi chiamò ancora.

Allora lo guardai per la prima volta.

Allora mi chiesi chi fosse quest'uomo a cui per due anni avevo dormito accanto, senza conoscerlo davvero. Non avevo mai desiderato farlo. Lo avevo ignorato, come si ignora un dettaglio, una parentesi, qualcosa di superfluo.

Marco era mio marito ma per me non era mai stato niente di più che l'inevitabile ostacolo al nostro amore predestinato. Perché in fondo, aveva ragione chi lo disse[5], noi non ci amavamo, noi agivamo come se avessimo capito che tutto ciò che si opponeva all'amore lo garantiva e lo consacrava, esaltandolo all'infinito.

Non esistevo se non in te.

Non odiavo Marco. Non lo amavo. Mi era indifferente, come una necessità.

Ma quel giorno lo guardai per la prima volta.

Marco era un re ma non sarebbe mai asceso al cielo degli eroi, la Storia non lo avrebbe ricordato con lodi e canzoni. Lo osservai nella sua quotidianità. Marco sbagliava, faceva talvolta sciocchezze enormi, si infuriava e sapeva perdonare. Ma soprattutto Marco amava come un uomo, non come un eroe, con quella delicatezza, quella sgraziata passione, quell'infantile slancio che avevo sognato quando era bambina.

E amava me, al di sopra di ogni cosa.

Avrei dovuto capirlo prima.

Avrei dovuto capirlo quando ci trovò nella foresta ed ebbe pietà di noi e lasciò il suo guanto a riparare il sole che mi feriva il volto.

Ero cieca, allora.

Ma adesso, Tristano, adesso vedo.

Dal nostro amore bellissimo e perfetto, dal nostro amore fatale, ineluttabile, dal nostro amore disperato, adesso, chiedo pace.

Ho migrato per mille cieli come una rondine, ma il mio orizzonte non è stato altro che infelicità, una nave triste, vele nere e morte.

No. Voglio stringere la mia vita e decidere per me, finalmente. Basta con i filtri, basta con il destino!

Tu abbraccia la tua donna e amala, se lo merita come lo merita il mio sposo.

Non lasciare che quell'amore ti sfugga, come per troppo tempo ho fatto io.

Vivi Tristano, e sii felice. Riscopri le gioie d'una vita semplice e sconosciuta, di un'unione che non entrerà mai nella leggenda ma che ti darà forse, finalmente, un po' di serenità.

E non preoccuparti. La Storia non si dimenticherà di te. Tu rimarrai Tristano, l'eroe, Tristano che aveva rinunciato a tutto, per amore, tradito dalla sua Isotta per una vita di agi e di comodità.

Sarà il mio nome a cadere nell'oblio, lo so bene.

Morire per amore mi avrebbe concesso quella fama che una vita serena non mi darà mai.

E un giorno...un giorno qualcuno nominerà Tristano chiedendosi chi fosse il suo grande amore.

Quel giorno, credimi, sarò felice.

Isotta


[1] Il titolo viene dal Roman de Renart. È la volpe stessa che, travestita, dice al lupo Isengrino di conoscere “le lai dam Iset”. Come è tipico dei lais i versi successivi sono in ottosillabi a rima baciata, con rime maschili e femminili. Nel testo ci sono alcune citazioni dal Tristan di Thomas e dal Tristan di Béroul, parafrasate o tradotte letteralmente.

[2] Il lai du Chievrefoil, di Maria di Francia, racconta di un incontro tra i due amanti poi messo in musica dallo stesso Tristano.

[3] Utilizzo la parola avventura nel senso dell’antico francese aventure.

[4] Traduco letteralmente Arc-qui-ne-faut, nome proprio dell’arco magico posseduto da Tristano.

[5] Denis De Rougemont.

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Racconto di Francesca Righetti, partecipante alla terza edizione di © Philobiblon (2008).

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