Manfredi incoronato, miniatura della Nova Cronica
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L’ultimo svevo di Sicilia
In nomine Dei eterni et Salvatoris nostri Iesu Christi
Noi Federico II, imperatore dei romani, re di Gerusalemme di Sicilia per la divina volontà, memori della precarietà della condizione umana e della sua natura corrompibile, poiché siamo consapevoli che la nostra vita sta per terminare,essendo dunque malati nel corpo, ma lucidi e integri nella mente, disponiamo del nostro impero e del nostro regno, affinché almeno le cose umane possano trovare un loro ordine. Dunque adempiano i nostri figli, generati grazie alla divina fecondità, ciò che l'animo nostro desidera. Ordiniamo che Corrado,diletto figlio nostro, sia l'erede dell'impero e del Regno nostro, ma qualora egli muoia senza eredi, gli succeda Enrico e,qualora anch'essi muoia senza lasciare eredi, gli succeda Manfredi il quale, sino all'arrivo del suddetto Corrado,sará nominato Balivo del Regno. A quest'ultimo figlio nostro diletto concediamo il principato di Taranto, le contee di Monte Caveoso, di Tricarico e di Gravina e infine gli concediamo anche la cittá di Monte Sant'Angelo con tutto l'onore che ne deriva. Infine ordiniamo che alla Santa madre Chiesa vengano restituiti tutti i suoi diritti perduti, qualora questi non vengano a coincidere con i diritti che spettano agli eredi nostri, anzi qualora la suddetta Chiesa sia venuta in possesso di diritti che non le competano, che li restituisca ai nostri eredi e fedeli. Il suddetto atto viene firmato alla presenza del marchese Bertoldo di Hohenburg,del diletto nostro consanguineo Riccardo di Caserta, del nostro diletto genero, Pietro Ruffo, del maestro Giustiziere Folco Ruffo, del maestro Giovanni da Procida,del maestro Roberto di Palermo e Nicola di Brindisi, pubblici tabellioni dell'Impero Signumsancte crucis proprie Manum predicato domini imperatori Frederici Io Federico, per volontà divina, dico e dichiaro che questo è il mio solenne testamento e che queste sono le mie ultime volontà, redatto e scritto per mia volontà per mano del mastro Nicola da Brindisi, pubblico tabellione dell'Impero.
Anno di Cristo 1250,Indizione IX, Manfredi, Balivo del Regno di Sicilia, Palermo, 13 dicembre
Jamsilla, diletto tra gli amici nostri, vi comunichiamo che Il 13 dicembre dell’anno di grazia di Nostro Signore 1250, nel castello di Fiorentino in Capitanata, l’imperatore nostro Federico, assolte le occupazioni umane, ha reso l’anima a Dio, l’unico nostro giudice.
Si adempie così la profezia che Michele Scoto fece al padre quando gli disse che sarebbe morto in un luogo che portava il nome di un fiore. Così nel giorno di Santa Lucia, il più breve dell’anno, quando la luce si dissolve prima all’orizzonte, l’astro, che illuminava il nostro cammino, si è spento, lasciandoci avvolti nelle tenebre. Intanto amico fidato, vi chiediamo di rientrare immediatamente da Roma dove eravate per volontà dell’imperatore. La morte verrà tenuta segreta il tempo necessario ad organizzare il suo ultimo viaggio, nel quale lo scorteranno i suoi cavalieri teutonici e i suoi saraceni.
Il dolore nel petto è insopportabile, perché noi abbiamo perso sia il padre, che il nostro imperatore, ma a mente lucida saremo gli esecutori delle sue ultime volontà e amministreremo il regno in attesa della venuta di Corrado fratello nostro, come ordina il testamento.
Anno di Cristo 1250,Indizione IX, Innocenzo IV papa, imperio vacante , Roma, 20 dicembre 1250
Innocenzo papa, vescovo dei romani, servusservorum dei Figli carissimi,
la bestia venuta dal mare che non ha mai smesso di assalire il tabernacolo di Dio, né i santi che abitano i cieli, il cosiddetto imperatore Federico II, il re della pestilenza , l’eretico e precursore dell'Anticristo ha abbandonato finalmente questa terra.
Le tenebre si sciolgano e i cuori si rallegrino e che in tutte le chiese del Patrimonio di san Pietro risuonino le campane a festa, perché la luce ormai si spande sopra di noi tutti.
Anno di Cristo 1254,Indizione XII, Manfredi, Balivo del Regno di Sicilia, Lucera, 24 maggio 1254Jamsilla, fedele tra gli amici nostri,
vi rassicuro sulla mia persona che giunse, dopo rovinose vie, a Lucera. Avrete certo saputo ciò che accadde dopo la morte di Borrello d’Anglona, fedele più alla Chiesa che al figlio del suo defunto imperatore. Egli ci provocò ve lo giuro e so che voi almeno mi crederete. Vedeste come in ginocchio chiesi pietà al pontefice, ma costui, con l’animo che già da tempo meditava di conquistare il nostro regno, ce la negò. E ora ci muove battaglia dopo aver portato dalla sua parte gli Hohenburg, i Ruffo, il duca di Caserta, proprio coloro che più di tutti nostro padre aveva innalzato, coloro che firmarono il suo testamento e lo videro spirare. Qui al castello di Lucera, tra gli uomini che mio padre fidò sopra tutti, i saraceni, sono giunto di notte, dopo aver cavalcato per giorni. Soltanto loro mi accolsero con il rispetto che si deve al figliuolo del grande Federico.
E ora dalla torre nord, scorgo la volta stellata sopra di me e oscuri presagi mi vengono alla mente. Ricordo le parole velate di Michele Scoto e ne comprendo ora soltanto il senso: “come l’aquila o come il topo…”.
E il pensiero, Jamsilla, è rivolto al Padre mio , perchè con la Chiesa alle porte del Regno che attenta alla mia vita, che aizza ogni abitante del Regno, vago con la mente ai quei pomeriggi di caccia, ai falconi alti levati nel cielo e, solo così, l’animo mio si sente più leggiero. Ricordate di quando fanciullo decisi di dormire insieme ai falconi per studiarli e voi mi faceste compagnia?
Difficile l’ultimo compito che mi venne affidato, proteggere il regno dai tentacoli della Chiesa, ma forse l’animo dubita soltanto perché le membra sono stanche. Da Ceprano, quasi senza sosta sono giunto qui, guardandomi le spalle, pregando le stelle di essermi accanto.Sentivo i cavalli avvicinarsi, le spade sferragliare e il cuore uscire quasi dal petto.
Lo so, era paura, terrore di morire da vile, come un topo, in una steppa desolata.
Vorrei dire al padre mio che no, non deve temere, perché finchè l’anima abiterà il mio corpo, gli svevi guideranno questo regno.
Anno di Cristo 1258,Indizione IV, Alessandro IV papa, imperio vacante , Roma, 11 agosto 1258Noi, Alessandro IV, vescovo dei romani, servusservorum dei
Caro ardinale di Santa Cecilia la notizia dell’incoronazione di Manfredi, ci ha riempito di sconforto. Quell’abile svevo, non pago dei misfatti già compiuti, ha diffuso la falsa notiza della morte del nipote e si è preso ciò a cui agognava dalla morte del padre: la corona del regno. Vi prego quindi di riprendere le trattative con l’Ighilterra ora che la provvidenziale morte di Enrico III d’Inghilterra ci è venuta in aiuto.
Dal canto nostro la risposta che daremo al figlio dell’anticristo, per questo ennesimo atto di tracotanza, sarà la scomunica e la privazione di tutti i suoi feudi e dell’onore del Monte sant’Angelo.
Perchè nessuna concessione mai deve essere fatta a lui e alla sua famiglia, perchè è venuto il tempo in Sicilia di separare il grano dalla pula e bruciarla.
Confido nel vostro operato affinchè vengano sollecitati nel regno i nuovi e antichi seguaci, se vi è ancora qualcuno vivo nella casata degli Hohenburg, tra i Ruffo. Rinnovate ai conti di Acerra e di Caserta le nostre profferte passate. Andate e non deludetemi.
Anno di Cristo 1258, Indizione IV, Manfredi re di Sicilia , Palermo, 11 agosto
Jamsilla, fedele tra gli amici nostri,
voi che siete cresciuto insieme a noi alla corte del padre, che siete per noi come un fratello, voi siete il mio ambasciatore fidato, gioite dall’Epiro dove vi ho mandato, perchè, dopo aver riportato l’ordine nel Regno ed aver ridotto all’obbedienza i rivoltosi, oggi 11 agosto 1258, ho cinto, nella santa cattedrale di Palermo che vide già gli avi miei normanni, la corana del regno di Sicilia. E con solenne giuramente, davanti alla croce di quella cattedrale, ho promesso di difendere questo Regno e i suoi abitanti da chiunque oserà varcarne i confini con intenzioni malevole.
Ma anche in questo momento di gioia, le accuse infamanti contra la nostra persona non si arrestano. I filopapali non paghi di averci già accusato di aver soffocato nostro padre, di aver fatto somministrare con un clistere avvelenato nostro fratello Corrado con l’aiuto del maestro Giovanni da Procida; ora ci accusano di aver avvelenato il nostro fratellastro Enrico e e di aver diffuso la falsa notizia della morte di Corradino. La stessa notizia che mi portaste voi.
Vi saluto e mi congratulo con voi per l’esito felice delle trattative che avete portato avanti con Michele d’Epiro, questo matrimonio con la sua primogenita Elena, della quale mi avete decantato bellezza e virtù, sancirà un’alleanza importante in questi tempi di guerra.
Anno di Cristo 1263,Indizione VI, Urbano IV papa, imperio vacante, Roma, 14 aprile 1263
Noi, Urbano IV, vescovo dei romani, servusservorum dei.
Ci congratuliamo col voi caro cardinale Simone di Santa Cecilia per il vostro l’operato affinché Carlo d’Angiò accetti l’investitura del Regno di Sicilia, feudo nostro.
Veniamo ora a quello che dovrete riferire a re Luigi, per convincerlo che Manfredi l’usurpatore debba essere spodestato.
Ripeterete quanto ho già detto al re d’Aragona: delle cose abominevoli e delle offese arrecate da Manfredi alla Chiesa e Dio, di come abbia ucciso il fedele Borrello d’Anglona, di come abbia occupato il regno sotto la simulazione di un suo ipotetico tutorato per il nipote; di come abbia diffuso la falsa notizia della morte dello stesso nipote. E di come senza scrupoli spogliò le chiese del regno e occupò le sedi vacanti; dei danni che inflisse con la battaglia di Montaperti ai nostri guelfi e infine dell’occupazione della Marca anconetana e di altri territori un tempo appartenenti all’impero.
Che appaia agli occhi del santo Luigi come il degno figlio dell’anticristo, che non vengano lesinate voci e malignità che lo riguardano e infine sottolineate più e più volte come sia stato escluso dal grembo della Santa Madre Chiesa attraverso la scomunica.
La stirpe degli Hohensatufen deve finire con lui, è gramigna che infesta la terra, che solo col fuoco può essere purificata. L’esistenza loro attenta alla vita stessa della Chiesa, che vorrebbero stringere in una morsa, intrappolare mortalmente tra l’Impero e il regno di Sicilia.
Agite dunque cardinale e riferitemi quanto prima il successo di tale trattativa.
Noi Federico II, imperatore dei romani, re di Gerusalemme di Sicilia per la divina volontà, memori della precarietà della condizione umana e della sua natura corrompibile, poiché siamo consapevoli che la nostra vita sta per terminare,essendo dunque malati nel corpo, ma lucidi e integri nella mente, disponiamo del nostro impero e del nostro regno, affinché almeno le cose umane possano trovare un loro ordine. Dunque adempiano i nostri figli, generati grazie alla divina fecondità, ciò che l'animo nostro desidera. Ordiniamo che Corrado,diletto figlio nostro, sia l'erede dell'impero e del Regno nostro, ma qualora egli muoia senza eredi, gli succeda Enrico e,qualora anch'essi muoia senza lasciare eredi, gli succeda Manfredi il quale, sino all'arrivo del suddetto Corrado,sará nominato Balivo del Regno. A quest'ultimo figlio nostro diletto concediamo il principato di Taranto, le contee di Monte Caveoso, di Tricarico e di Gravina e infine gli concediamo anche la cittá di Monte Sant'Angelo con tutto l'onore che ne deriva. Infine ordiniamo che alla Santa madre Chiesa vengano restituiti tutti i suoi diritti perduti, qualora questi non vengano a coincidere con i diritti che spettano agli eredi nostri, anzi qualora la suddetta Chiesa sia venuta in possesso di diritti che non le competano, che li restituisca ai nostri eredi e fedeli. Il suddetto atto viene firmato alla presenza del marchese Bertoldo di Hohenburg,del diletto nostro consanguineo Riccardo di Caserta, del nostro diletto genero, Pietro Ruffo, del maestro Giustiziere Folco Ruffo, del maestro Giovanni da Procida,del maestro Roberto di Palermo e Nicola di Brindisi, pubblici tabellioni dell'Impero Signumsancte crucis proprie Manum predicato domini imperatori Frederici Io Federico, per volontà divina, dico e dichiaro che questo è il mio solenne testamento e che queste sono le mie ultime volontà, redatto e scritto per mia volontà per mano del mastro Nicola da Brindisi, pubblico tabellione dell'Impero.
Anno di Cristo 1250,Indizione IX, Manfredi, Balivo del Regno di Sicilia, Palermo, 13 dicembre
Jamsilla, diletto tra gli amici nostri, vi comunichiamo che Il 13 dicembre dell’anno di grazia di Nostro Signore 1250, nel castello di Fiorentino in Capitanata, l’imperatore nostro Federico, assolte le occupazioni umane, ha reso l’anima a Dio, l’unico nostro giudice.
Si adempie così la profezia che Michele Scoto fece al padre quando gli disse che sarebbe morto in un luogo che portava il nome di un fiore. Così nel giorno di Santa Lucia, il più breve dell’anno, quando la luce si dissolve prima all’orizzonte, l’astro, che illuminava il nostro cammino, si è spento, lasciandoci avvolti nelle tenebre. Intanto amico fidato, vi chiediamo di rientrare immediatamente da Roma dove eravate per volontà dell’imperatore. La morte verrà tenuta segreta il tempo necessario ad organizzare il suo ultimo viaggio, nel quale lo scorteranno i suoi cavalieri teutonici e i suoi saraceni.
Il dolore nel petto è insopportabile, perché noi abbiamo perso sia il padre, che il nostro imperatore, ma a mente lucida saremo gli esecutori delle sue ultime volontà e amministreremo il regno in attesa della venuta di Corrado fratello nostro, come ordina il testamento.
Anno di Cristo 1250,Indizione IX, Innocenzo IV papa, imperio vacante , Roma, 20 dicembre 1250
Innocenzo papa, vescovo dei romani, servusservorum dei Figli carissimi,
la bestia venuta dal mare che non ha mai smesso di assalire il tabernacolo di Dio, né i santi che abitano i cieli, il cosiddetto imperatore Federico II, il re della pestilenza , l’eretico e precursore dell'Anticristo ha abbandonato finalmente questa terra.
Le tenebre si sciolgano e i cuori si rallegrino e che in tutte le chiese del Patrimonio di san Pietro risuonino le campane a festa, perché la luce ormai si spande sopra di noi tutti.
Anno di Cristo 1254,Indizione XII, Manfredi, Balivo del Regno di Sicilia, Lucera, 24 maggio 1254Jamsilla, fedele tra gli amici nostri,
vi rassicuro sulla mia persona che giunse, dopo rovinose vie, a Lucera. Avrete certo saputo ciò che accadde dopo la morte di Borrello d’Anglona, fedele più alla Chiesa che al figlio del suo defunto imperatore. Egli ci provocò ve lo giuro e so che voi almeno mi crederete. Vedeste come in ginocchio chiesi pietà al pontefice, ma costui, con l’animo che già da tempo meditava di conquistare il nostro regno, ce la negò. E ora ci muove battaglia dopo aver portato dalla sua parte gli Hohenburg, i Ruffo, il duca di Caserta, proprio coloro che più di tutti nostro padre aveva innalzato, coloro che firmarono il suo testamento e lo videro spirare. Qui al castello di Lucera, tra gli uomini che mio padre fidò sopra tutti, i saraceni, sono giunto di notte, dopo aver cavalcato per giorni. Soltanto loro mi accolsero con il rispetto che si deve al figliuolo del grande Federico.
E ora dalla torre nord, scorgo la volta stellata sopra di me e oscuri presagi mi vengono alla mente. Ricordo le parole velate di Michele Scoto e ne comprendo ora soltanto il senso: “come l’aquila o come il topo…”.
E il pensiero, Jamsilla, è rivolto al Padre mio , perchè con la Chiesa alle porte del Regno che attenta alla mia vita, che aizza ogni abitante del Regno, vago con la mente ai quei pomeriggi di caccia, ai falconi alti levati nel cielo e, solo così, l’animo mio si sente più leggiero. Ricordate di quando fanciullo decisi di dormire insieme ai falconi per studiarli e voi mi faceste compagnia?
Difficile l’ultimo compito che mi venne affidato, proteggere il regno dai tentacoli della Chiesa, ma forse l’animo dubita soltanto perché le membra sono stanche. Da Ceprano, quasi senza sosta sono giunto qui, guardandomi le spalle, pregando le stelle di essermi accanto.Sentivo i cavalli avvicinarsi, le spade sferragliare e il cuore uscire quasi dal petto.
Lo so, era paura, terrore di morire da vile, come un topo, in una steppa desolata.
Vorrei dire al padre mio che no, non deve temere, perché finchè l’anima abiterà il mio corpo, gli svevi guideranno questo regno.
Anno di Cristo 1258,Indizione IV, Alessandro IV papa, imperio vacante , Roma, 11 agosto 1258Noi, Alessandro IV, vescovo dei romani, servusservorum dei
Caro ardinale di Santa Cecilia la notizia dell’incoronazione di Manfredi, ci ha riempito di sconforto. Quell’abile svevo, non pago dei misfatti già compiuti, ha diffuso la falsa notiza della morte del nipote e si è preso ciò a cui agognava dalla morte del padre: la corona del regno. Vi prego quindi di riprendere le trattative con l’Ighilterra ora che la provvidenziale morte di Enrico III d’Inghilterra ci è venuta in aiuto.
Dal canto nostro la risposta che daremo al figlio dell’anticristo, per questo ennesimo atto di tracotanza, sarà la scomunica e la privazione di tutti i suoi feudi e dell’onore del Monte sant’Angelo.
Perchè nessuna concessione mai deve essere fatta a lui e alla sua famiglia, perchè è venuto il tempo in Sicilia di separare il grano dalla pula e bruciarla.
Confido nel vostro operato affinchè vengano sollecitati nel regno i nuovi e antichi seguaci, se vi è ancora qualcuno vivo nella casata degli Hohenburg, tra i Ruffo. Rinnovate ai conti di Acerra e di Caserta le nostre profferte passate. Andate e non deludetemi.
Anno di Cristo 1258, Indizione IV, Manfredi re di Sicilia , Palermo, 11 agosto
Jamsilla, fedele tra gli amici nostri,
voi che siete cresciuto insieme a noi alla corte del padre, che siete per noi come un fratello, voi siete il mio ambasciatore fidato, gioite dall’Epiro dove vi ho mandato, perchè, dopo aver riportato l’ordine nel Regno ed aver ridotto all’obbedienza i rivoltosi, oggi 11 agosto 1258, ho cinto, nella santa cattedrale di Palermo che vide già gli avi miei normanni, la corana del regno di Sicilia. E con solenne giuramente, davanti alla croce di quella cattedrale, ho promesso di difendere questo Regno e i suoi abitanti da chiunque oserà varcarne i confini con intenzioni malevole.
Ma anche in questo momento di gioia, le accuse infamanti contra la nostra persona non si arrestano. I filopapali non paghi di averci già accusato di aver soffocato nostro padre, di aver fatto somministrare con un clistere avvelenato nostro fratello Corrado con l’aiuto del maestro Giovanni da Procida; ora ci accusano di aver avvelenato il nostro fratellastro Enrico e e di aver diffuso la falsa notizia della morte di Corradino. La stessa notizia che mi portaste voi.
Vi saluto e mi congratulo con voi per l’esito felice delle trattative che avete portato avanti con Michele d’Epiro, questo matrimonio con la sua primogenita Elena, della quale mi avete decantato bellezza e virtù, sancirà un’alleanza importante in questi tempi di guerra.
Anno di Cristo 1263,Indizione VI, Urbano IV papa, imperio vacante, Roma, 14 aprile 1263
Noi, Urbano IV, vescovo dei romani, servusservorum dei.
Ci congratuliamo col voi caro cardinale Simone di Santa Cecilia per il vostro l’operato affinché Carlo d’Angiò accetti l’investitura del Regno di Sicilia, feudo nostro.
Veniamo ora a quello che dovrete riferire a re Luigi, per convincerlo che Manfredi l’usurpatore debba essere spodestato.
Ripeterete quanto ho già detto al re d’Aragona: delle cose abominevoli e delle offese arrecate da Manfredi alla Chiesa e Dio, di come abbia ucciso il fedele Borrello d’Anglona, di come abbia occupato il regno sotto la simulazione di un suo ipotetico tutorato per il nipote; di come abbia diffuso la falsa notizia della morte dello stesso nipote. E di come senza scrupoli spogliò le chiese del regno e occupò le sedi vacanti; dei danni che inflisse con la battaglia di Montaperti ai nostri guelfi e infine dell’occupazione della Marca anconetana e di altri territori un tempo appartenenti all’impero.
Che appaia agli occhi del santo Luigi come il degno figlio dell’anticristo, che non vengano lesinate voci e malignità che lo riguardano e infine sottolineate più e più volte come sia stato escluso dal grembo della Santa Madre Chiesa attraverso la scomunica.
La stirpe degli Hohensatufen deve finire con lui, è gramigna che infesta la terra, che solo col fuoco può essere purificata. L’esistenza loro attenta alla vita stessa della Chiesa, che vorrebbero stringere in una morsa, intrappolare mortalmente tra l’Impero e il regno di Sicilia.
Agite dunque cardinale e riferitemi quanto prima il successo di tale trattativa.
Anno di Cristo 1266,Indizione IX, Manfredi re di Sicilia
, Benevento, 25 febbraio 1266
Jamsilla, diletto tra gli amici,
l’incendio che veniva da lontano, si sta avvicinando a noi. Ho chiamato a raccolta tutti i conti, baroni e soldati, poiché questa è casa loro, affinchè si oppongano all’invasore e cerchino acqua per spegnerlo, perché il fuoco tutto consuma e niente risparmia.
Si avvicinano dunque, posso sentire i loro passi, domani a Benenevento si deciderà la sorte nostra.Questa gente ferocissima venuta dalla Francia si avvicina per invadere il nostro Regno, chiamata da colui che si proclama figlio diletto sopra gli altri del Signore nostro. Questa gente non conosce né la pietà per gli amici, né quella per Dio, ma ha soltanto fame d’oro.
Vengono come il lupo affamato a sbranare l’agnello, ma se fieramente essi si muovono, altrettanto fieramente noi risponderemo. Perché, combattendo noi per la giustizia, forse essa ci favorirà. Perchè se ci opporremo al loro furore lentamente o se saremo vacillanti, saremo destinanti alla sconfitta. Ma se invece fine alla fine combatteremo con animo superbo e virile, forse gli dei ci daranno il loro favore.
Amico nostro diletto sappiamo che qualcuno tentennerà, qualcun altro si defilerà e infine che qualcuno tradirà, perchè corruttibile è la natura dell’uomo. Portate Elena e i figliuli nostri a Lagopesole, abbracciateli lungamente da parte nostra, io vi raggiungerò lì. Confidate in noi, ci rivedremo e allora mi accompagnerete ancora a caccia col falcone. Poi, mentre in cucina si occuperanno delle prede portate, discorreremo del Filosofo e mi leggerete “Rosa fresca aulentissima” e arriverà la sera e scruteremo le stelle tutte del cielo e vedrò se finalmente avrete imprato a riconoscerle.
Anno di Cristo 1266,Indizione IX, Clemente IV papa, imperio vacante Roma, 25 marzo 1266
Noi, Clemente IV, vescovo dei romani, servusservorum dei
Gioite insieme al vostro papa caro cardinale di S.Adriano, perchè l’ultimo di quella stirpe maledetta ha finalmente trovato la morte per mano di Carlo. L’angioino ha pacificato il regno e possiede sia il cadavere putrido di quell’uomo pestilenziale, che la moglie con i figli di quest’ultimo, suoi prigionieri.
Apprendo dalla vostra ultima missiva che lo svevo mostrò coraggio a Benevento dove tutti lo tradirono, tranne gli infedeli saraceni e i parenti suoi Lancia e Agliano. Mi dite che si gettò nella mischia e che molto ferì prima di cadere, se non vi conoscessi da tempo, direi che la vostra sembra ammirazione mista a pietà.
Mettetela da parte se volete continuare a servirmi e ora ascoltate.
Vigilate su Carlo, la eco dell’avidità sua e dei suoi uomini dopo la battaglia giunse alle nostre orecchie. Per quanto riguarda Jamsilla, l’uomo dello Svevo, mi dite che ha scelto l’abito monastico e si è ritirato a Montecassino, lasciatelo dunque lì, l’abate Aiglerio mi riferirà. Infine per quanto riguarda la questione di cui vi ho accennato, queste sono le indicazioni. Quando tra qualche mese il ricordo degli svevi si sarà affievolito, a lume spento, dovrete mandare un uomo fidato a prelevare il corpo di Manfredi dalla sepoltura militare che gli è stata data, portarlo fuori dal regno e gettarlo nel fiume Verde, che l’acqua dunque lavi, se vi riesce, le sue colpe.
Anno di Cristo 1282,Indizione XI, Nicolai de Jamsilla , Montecassino, 5 settembre 1282
Mia Signora e mia Regina Costanza II d’Aragona, scrivo per felicitarmi della vostra incoronazione a Palermo, Voi siete l’ultima gioia che è stata concessa a questo monaco un dì fratello, amico e ambasciatore di vostro padre Manfredi. Ora che gli Svevi sono tornati in Sicilia , posso prendere congedo e dare riposo a queste stanche membra, ma prima voglio affidarvi le lettere che mi inviò vostro padre e che ho custodito per tutti questi anni.
Insieme ad esse troverete anche dell’altro, non chiedetemi come ne sono venuto in possesso, sappiate che esse sono vere e pregate per l’anima di vostro padre sapendo che la sua unica colpa fu di amare questo regno più della vita stessa.
Jamsilla, diletto tra gli amici,
l’incendio che veniva da lontano, si sta avvicinando a noi. Ho chiamato a raccolta tutti i conti, baroni e soldati, poiché questa è casa loro, affinchè si oppongano all’invasore e cerchino acqua per spegnerlo, perché il fuoco tutto consuma e niente risparmia.
Si avvicinano dunque, posso sentire i loro passi, domani a Benenevento si deciderà la sorte nostra.Questa gente ferocissima venuta dalla Francia si avvicina per invadere il nostro Regno, chiamata da colui che si proclama figlio diletto sopra gli altri del Signore nostro. Questa gente non conosce né la pietà per gli amici, né quella per Dio, ma ha soltanto fame d’oro.
Vengono come il lupo affamato a sbranare l’agnello, ma se fieramente essi si muovono, altrettanto fieramente noi risponderemo. Perché, combattendo noi per la giustizia, forse essa ci favorirà. Perchè se ci opporremo al loro furore lentamente o se saremo vacillanti, saremo destinanti alla sconfitta. Ma se invece fine alla fine combatteremo con animo superbo e virile, forse gli dei ci daranno il loro favore.
Amico nostro diletto sappiamo che qualcuno tentennerà, qualcun altro si defilerà e infine che qualcuno tradirà, perchè corruttibile è la natura dell’uomo. Portate Elena e i figliuli nostri a Lagopesole, abbracciateli lungamente da parte nostra, io vi raggiungerò lì. Confidate in noi, ci rivedremo e allora mi accompagnerete ancora a caccia col falcone. Poi, mentre in cucina si occuperanno delle prede portate, discorreremo del Filosofo e mi leggerete “Rosa fresca aulentissima” e arriverà la sera e scruteremo le stelle tutte del cielo e vedrò se finalmente avrete imprato a riconoscerle.
Anno di Cristo 1266,Indizione IX, Clemente IV papa, imperio vacante Roma, 25 marzo 1266
Noi, Clemente IV, vescovo dei romani, servusservorum dei
Gioite insieme al vostro papa caro cardinale di S.Adriano, perchè l’ultimo di quella stirpe maledetta ha finalmente trovato la morte per mano di Carlo. L’angioino ha pacificato il regno e possiede sia il cadavere putrido di quell’uomo pestilenziale, che la moglie con i figli di quest’ultimo, suoi prigionieri.
Apprendo dalla vostra ultima missiva che lo svevo mostrò coraggio a Benevento dove tutti lo tradirono, tranne gli infedeli saraceni e i parenti suoi Lancia e Agliano. Mi dite che si gettò nella mischia e che molto ferì prima di cadere, se non vi conoscessi da tempo, direi che la vostra sembra ammirazione mista a pietà.
Mettetela da parte se volete continuare a servirmi e ora ascoltate.
Vigilate su Carlo, la eco dell’avidità sua e dei suoi uomini dopo la battaglia giunse alle nostre orecchie. Per quanto riguarda Jamsilla, l’uomo dello Svevo, mi dite che ha scelto l’abito monastico e si è ritirato a Montecassino, lasciatelo dunque lì, l’abate Aiglerio mi riferirà. Infine per quanto riguarda la questione di cui vi ho accennato, queste sono le indicazioni. Quando tra qualche mese il ricordo degli svevi si sarà affievolito, a lume spento, dovrete mandare un uomo fidato a prelevare il corpo di Manfredi dalla sepoltura militare che gli è stata data, portarlo fuori dal regno e gettarlo nel fiume Verde, che l’acqua dunque lavi, se vi riesce, le sue colpe.
Anno di Cristo 1282,Indizione XI, Nicolai de Jamsilla , Montecassino, 5 settembre 1282
Mia Signora e mia Regina Costanza II d’Aragona, scrivo per felicitarmi della vostra incoronazione a Palermo, Voi siete l’ultima gioia che è stata concessa a questo monaco un dì fratello, amico e ambasciatore di vostro padre Manfredi. Ora che gli Svevi sono tornati in Sicilia , posso prendere congedo e dare riposo a queste stanche membra, ma prima voglio affidarvi le lettere che mi inviò vostro padre e che ho custodito per tutti questi anni.
Insieme ad esse troverete anche dell’altro, non chiedetemi come ne sono venuto in possesso, sappiate che esse sono vere e pregate per l’anima di vostro padre sapendo che la sua unica colpa fu di amare questo regno più della vita stessa.
di Mariaelena Prinzi
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Racconto partecipante alla quattordicesima edizione di © Philobiblon (2019)
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